Nella testa ha una protesi in 3D Ceron potrà tornare a giocare
TORINO. Il colpo fortuito alla testa, il blackout improvviso, il terrore di non poter più giocare. Prima del ritorno alla vita e alla sua grande passione, il basket. La vita di Marco Ceron, cestista di Mirano, di 27 anni, è cambiata di colpo il 25 novembre 2018, quando la gomitata involontaria del lungo francese dell’Auxilium Torino, Mammadhou Jaiteh, ha rischiato di mettere fine alla sua carriera. Fino all’operazione di ricostruzione eseguita venerdì scorso dal dottor Francesco Zenga, che ha restituito il sorriso alla guardia della Leonessa Brescia e fatto tirare un sospiro di sollievo a mamma e papà, sempre al suo fianco anche nel giorno della rinascita sportiva.
«Ora posso finalmente tornare a giocare, mi mancava troppo il rumore del parquet e della palla», sorride Ceron il giorno delle dimissioni dal reparto di Neurochirurgia delle Molinette di Torino, «Ho rischiato la vita, ne sono consapevole, ma volevo a tutti i costi riprendere a giocare: ho 27 anni, non sono a fine carriera, mi sarebbe dispiaciuto chiuderla così». La mano, assicura, è ancora quella di una volta, mortifera e pericolosa per le difese avversarie: il sorriso, invece, è di chi non ha mai mollato, «iniziando a correre e a tirare già due settimane dopo l’infortunio» senza mai perdere la speranza.
«Sono contento di aver incrociato la strada con questa equipe, diciamo che Torino ha avuto un ruolo fondamentale in questa vicenda». L’infortunio è arrivato proprio nel match casalingo con l’Auxilium, una gomitata che ha fatto tremare tifosi, avversari e compagni di squadra, fermando il tempo e lasciando con il fiato sospeso l’intero mondo del basket. «Un trauma cranico commotivo con frattura affondata», spiega il dottor Francesco Zenga, una delle punte di diamante del reparto guidato dal primario di Neurochirurgia, il professor Diego Garbossa, «aveva i frammenti di osso che rientravano all’interno. L’intervento del dottor Fontanella di Brescia è servito per salvargli la vita: un paziente normale avrebbe potuto vivere serenamente. Marco, però, voleva tornare a giocare e un ulteriore colpo avrebbe avuto ripercussioni gravi» .
In suo soccorso è arrivata la tecnologia tutta italiana utilizzata per la creazione di una protesi in titanio poroso, una “toppa” dura , «come la mia testa», scherza Marco, «che lo proteggerà per il resto della sua vita e della sua carriera. Una protesi “custom mode” modellata alla perfezione e creata grazie ad una stampante 3D. Fantascienza se non fosse ormai realtà. —
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