Nakano: «Il Circus, che esperienza ma il meglio resta il cibo italiano»

Cucina e motori: Shinji Nakano si illumina quando parla di Italia. D’altronde il pilota giapponese ha legato la sua carriera a importanti marchi del nostro Paese. Nel 1997 e 1998 ha corso 33 Gp in Formula 1 prima con la Prost e poi con la Minardi e, a quasi 45 anni, non perde l’occasione di gareggiare a ruote coperte con la Maserati: di recente è stato grande protagonista della tappa nipponica del Trofeo World Series organizzato dalla Casa del Tridente. E poi, ovviamente, ci sono gli spaghetti e la Ferrari.
È arrivato fino in Formula 1. Un sogno che si è avverato.
«È il sogno di ogni pilota e sono riuscito a tramutarlo in realtà. Ci sono tanti ricordi che porto con me: gare, sorpassi e le persone che ho conosciuto. Indimenticabile il Gran premio d’Ungheria nel 1997, dove ho tagliato il traguardo al sesto posto e negli ultimi giri mi sono trovato in lotta con campioni del calibro di Schumacher, Irvine e Alesi. Sono istanti della mia carriera che tengo nel mio cuore».
Cosa significa per lei il nome Ferrari?
«Ferrari è Ferrari. Un nome famoso in tutto il mondo. Adulti e bambini sognano di poterla guidare. Quando pensi a Ferrari, esclami “wow!”. Ognuno di noi vorrebbe averne una. Anche i piloti, nessuno escluso, desiderano correre in Formula 1 al volante di una Rossa. Sfortunatamente non ho avuto questo privilegio, anche se in occasione dell’ultimo Gran premio di Suzuka ho guidato una Ferrari in un giro dimostrativo. È stato indimenticabile. Anche Maserati è un marchio leggendario, una storia ultracentenaria di una Casa legata al mondo delle corse: in Giappone il Tridente è ammirato e sono in molti a sognarlo».
Quale circuito preferisce?
«Sicuramente Suzuka, ma ci sono altri tracciati che amo, come Spa, ma anche Monza e Monaco. Tra i più veloci Silverstone, ma nella vecchia configurazione».
La sua esperienza con i due team di Formula 1? Ha potuto contare sui consigli di un pilota come Prost?
«Sinceramente non ricordo tanti consigli… (lo dice ridendo, ndr). È stato un grandissimo pilota. Non sono stato molto fortunato perché sono capitato in un team francese, dove si parlava solo francese. Avevo qualche problema di apprendimento. Nessuno parlava inglese. Non lo sto dicendo in tono polemico, non ho rimpianti. È stata una grande esperienza».
E con Minardi come è andata?
«È stato tutto un altro mondo, direi fantastico. Quello italiano è un popolo eccezionale. Il carattere, la cultura, la lingua e la cucina. Adoro il vostro cibo, soprattutto la pasta. In quell’anno ho messo su qualche chilo di troppo. E poi il signor Minardi: era perfetto. Sono riuscito a instaurare un rapporto sincero. Mi sono trovato subito con lui, ma anche con la sua famiglia, con gli ingegneri, i meccanici. Peccato per la vettura (altra risata, ndr), non era velocissima e non era semplice da guidare».
Il Giappone è un Paese che ha sempre dato tanti nomi alla Formula 1. Oltre a lei, vengono in mente i due Nakajima, Sato, Katayama, Suzuki. Ora però non ce sono. Come mai?
«È un peccato. Credo sia una questione di mentalità, dovuta alla nostra cultura: siamo in attesa che qualche cosa capiti. Occorre invece essere spinti dalle motivazioni. Credo che i nostri giovani connazionali debbano fare esperienza in Europa. La Formula 1 è in Europa. Nel Vecchio Continente i nostri talenti avrebbero l’opportunità di apprendere nuove lingue, nuove culture e cambiare mentalità. La crisi economica è solo una giustificazione».
Ci faccia un paio di nomi di nipponici su cui puntare.
«Nirei Fukuzumi e Ukyo Sasahara: spero proprio di vederli molto presto al volante di una vettura di Formula 1».
Mauro Corno
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