Martinello prepara la sua volata più lunga «Guidare il ciclismo? Solo per una svolta»

L’INTERVISTA
La quarta vita (professionale) di Silvio Martinello potrebbe materializzarsi a conclusione del quadriennio olimpico, a fine 2020 o, più probabilmente, inizio 2021. Perché il campione a cinque cerchi di Atlanta 1996 e cinque volte iridato è fortemente tentato dall’idea di correre per la presidenza della Federciclismo. E sarebbe, appunto, l’apoteosi di una carriera che lo ha visto protagonista - e che protagonista! - delle due ruote: oltre 18 anni di professionismo, in strada e in pista, preceduti da tutta la trafila nelle categorie giovanili, e 17 di commentatore televisivo e ultimamente radiofonico, anche se quella per RadioRai al Giro d’Italia di quest’anno è stata, per sua ammissione, «un’esperienza occasionale, sostituendo Massimo Ghirotto, che aveva avuto degli impedimenti». In mezzo – la terza vita – il ruolo di Direttore Tecnico Generale della Federazione, ricoperto dal novembre 2005 al settembre 2007 e a cui rinunciò, dimettendosi, dopo aver denunciato, fra gli altri, «inopportuni ed incoerenti» comportamenti nella gestione del Ct delle azzurre Dino Salvoldi (ne parliamo a parte).
A 56 anni, dunque, titolare di un avviatissimo Centro fitness aperto nel 1999 a Tencarola di Selvazzano, il campionissimo padovano è pronto a rimettersi in gioco e quasi sottovoce fa capire che l’ipotesi di guidare l’intero movimento non gli dispiacerebbe. «Non l’ho mai presa in considerazione prima, perché, tra cose personali e impegno con la televisione, che mi portava lontano da casa 150 giorni l’anno, non avrei avuto né il tempo né la disponibilità per pensarci. Adesso, invece, quella della candidatura alla presidenza potrebbe essere un’idea su cui ragionare con attenzione».
Che cosa ci vuole per convincerla?
«Il ragionamento che sto facendo è cercare di capire se esista veramente, all’interno del sistema, la voglia di cambiamento che molti auspicano. Se così fosse, non mi tirerei indietro. In caso di successo, ci troveremmo di fronte a una totale rottura con ciò che c’è stato sino ad oggi, quindi con un’impostazione completamente nuova. Ecco, sto riflettendo in questi termini».
Quando potrebbe sciogliere la riserva?
«La primavera del prossimo anno potrebbe essere il momento giusto per comunicare, in un senso o nell’altro, se ci sarà o meno il mio ok a costruire una squadra in grado di migliorare la situazione e riportare il ciclismo italiano, politicamente, agonisticamente e sportivamente, dove merita di essere (stando alle indiscrezioni, i candidati alla poltrona più ambita potrebbero essere, oltre a Martinello, l’attuale numero uno della Fci, Renato Di Rocco, in carica dal 2005, e il direttore dell’organizzazione del Giro d’Italia, Mauro Vegni, ndr)».
Secondo lei, c’è tanto da buttare, del nostro ciclismo, oppure si può salvare qualcosa?
«Non credo proprio che tutto sia da gettare via, lo dimostrano i risultati che gli atleti riescono a raggiungere, nonostante le grandi difficoltà in cui si muovono, soprattutto dal punto di vista economico. Siamo tornati a rappresentare qualcosa di significativo nella pista mondiale dopo tanto tempo, siamo una realtà consolidata, sia in campo maschile che in quello femminile, nelle specialità di endurance, mentre in quelle della velocità qualche segnale positivo lo cogliamo tra le donne, a differenza degli uomini, dove non esiste un settore vero e proprio, e parliamo di specialità che mettono in palio ben sei titoli olimpici a Tokyo nel 2020. Dove bisognerebbe fare di più è nei confronti delle società giovanili, il reclutamento è tra le difficoltà maggiori che si stanno incontrando, il problema della sicurezza in molte famiglie agisce da freno per far correre i propri figli, una valida alternativa sarebbero gli spazi chiusi o tutelati, pensiamo quindi alle attività alternative alla strada, come la pista, il fuoristrada, la Bmx, diventata fra l’altro specialità olimpica. D’accordo, le risorse sono quelle che sono, ma credo che manchino anche progetti di qualità, cercando di coprire tutto il territorio nazionale, perché al di sotto della Toscana l’attività ciclistica è ai minimi storici o quasi».
Due parole sul Giro che verrà. Molto adatto agli scalatori, con una forte impronta veneta, l’arrivo di tappa a Monselice, la crono del Prosecco ecc.
«Il percorso si adatta senza dubbio alle caratteristiche di Nibali, che ha fissato nella sua agenda tre appuntamenti-chiave per l’anno prossimo, la corsa rosa appunto, le Olimpiadi e il Mondiale in Svizzera. Al Giro ci sarà il francese Romain Bardet, che non disputerà il Tour. Avremo altri protagonisti stranieri, vedrete, perché la vicinanza della conclusione del Tour all’appuntamento olimpico, con soli sei giorni di distacco, potrebbe spingere molti a sposare scelte diverse. Ci sono parecchie salite, è vero, con tre cronometro, di cui una iniziale e una finale e la seconda in Veneto. È un Giro che strizza l’occhio agli scalatori, anche se dovranno limitare i danni rispetto ai grandi specialisti della corsa contro il tempo. Sarà una grande festa di popolo, come sempre, e spero sia vissuta come una splendida occasione per promuovere ancora una volta l’immagine della nostra regione». —
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