L’ex Carnasciali «Zanetti sa tirare fuori il meglio»

Il terzino della mitica stagione 1998/99 vive in Toscana «Giocare al Penzo un sogno. Il nuovo stadio? Spero di no»
Francesco Gottardi

/ venezia

Una signora carriera, al fianco di Batistuta, Rui Costa, Roberto Baggio. Poi, a 32 anni, l’esotico gran finale all’orizzonte: in Giappone, al Jubilo Iwata, dove giocava il suo amico Dunga. In quel 1998, Daniele Carnasciali ha già le valigie pronte. Ma arriva una telefonata. «E un’altra. E un’altra ancora». Sono Iachini, Novellino, Marotta, Gianni Di Marzio: «Il Venezia neopromosso in Serie A mi voleva a tutti i costi. Così ho cambiato rotta, direzione laguna. Non me ne sono mai pentito».

Oggi l’ex terzino di anni ne ha 55. Col calcio ha chiuso, si è reinventato imprenditore – «Mi divido fra una stamperia di materia plastica nel Valdarno e uno stabilimento balneare a Castiglione della Pescaia», racconta a la Nuova di Venezia e Mestre dalla sua Toscana ma continua a seguire a distanza le sue vecchie squadre. Con inalterata passione. «Anche se non vengo a Venezia da una decina d’anni. Al Penzo addirittura da quando mi sono ritirato, nel 2000. Ma in tutto questo tempo, quando leggevo dei vari progetti per un nuovo stadio ho sempre sperato di no: troppo forte giocare a calcio in un’isoletta così. Poi adesso che gli arancioneroverdi sono tornati in Serie A…».

Da neopromossa a neopromossa. Come vede i ragazzi di Zanetti?

«Certo è una squadra giovane, deve imparare a non subire i contraccolpi delle sconfitte. Ma ha individualità interessanti e sta dicendo la sua. In estate la davano tutti per spacciata, poi ha dimostrato di che pasta è fatta e lotterà fino alla fine. Un po’ come noi nel 1998/99: vi ricordate la situazione, prima del calciomercato di gennaio?»

Undici punti e ultimo posto in classifica.

«Naturalmente Recoba fu la nostra svolta. Ma oltre alla classe del Chino e ai gol di Maniero ci tengo a sottolineare un supporting cast di uomini veri, con dei valori condivisi. Pavan e Taibi, Luppi e Dal Canto. Senza un gruppo affiatato non ti salvi. E ha contribuito anche un ambiente unico».

Cioè?

«Da Firenze a Brescia, ho sempre giocato in piazze molto calde. Esigenti: quando le cose andavano male scoppiavano contestazioni pesanti. A Venezia invece no. Una leggerezza che mi ha colpito: allenamenti tranquilli, potevo girare per le calli senza problemi, ci incitavano tutti. Anche la stagione dopo, retrocessi con Spalletti in panchina. Annata storta, avevo pure segnato un gol grande come una casa…»

Contro il Milan: sarebbe stato l’ultimo della carriera, il secondo in arancioneroverde.

«Ma me lo annullarono! Meno male che poi vincemmo lo stesso».

Il ricordo più bello?

«Quel 4-1 alla Fiorentina, con tripletta del Chino. I tifosi viola si arrabbiarono con me perché da ex esultai troppo: fu una partita memorabile. Forse il nostro capolavoro. Fuori dal campo invece sorrido ancora pensando al “cigno”. Novellino mica aveva capito il vero soprannome dell’uruguagio: lo chiamava così, alla fine gli regalò un cigno in vetro di Murano per scherzarci su».

Se il Venezia avesse un campione del genere anche oggi…

«Già, di Recoba ce n’è stato uno solo. Ma Okereke e Aramu sono bei giocatori, avrebbero fatto comodo anche a noi. Poi in famiglia facciamo il tifo per Lezzerini, è amico di mio figlio. Mi piacerebbe qualche giovane italiano in più. Ma Zanetti è davvero bravo: da questa squadra sta tirando fuori lo spirito giusto. Speriamo sia quello della salvezza». —

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