Dalla Transilvania all’Italia un po’ Leone e un po’ Toro

Originario di Satu Mare, arriva da una splendida zona della Romania  «Potevo fare l’avvocato, ma sono felice così. Facebook e Twitter ? No grazie»

MESTRE. Satu Mare è una città della Romania con 150 mila abitanti che, a differenza di quel che può far pensare il nome, con il mare non ha nulla a che vedere. Si trova a pochi chilometri dal confine con l’Ungheria, in una delle zone più conosciute, la Transilvania. Terra di castelli e di leggende, su tutte quella del conte Dracula, ed è proprio da lì che arriva uno dei centrocampisti del Venezia di Filippo Inzaghi. Sergiu Suciu, nella sua totale semplicità, si sente italiano ma la terra natia la ricorda sempre volentieri, allontanando stereotipi e facendo da ponte ideale tra i due Paesi. «A Satu Mare si viveva bene, perché la Romania negli ultimi anni ha saputo crescere economicamente, aprirsi e offrire opportunità» racconta il centrocampista del Venezia. «Non giocare a calcio era impossibile. Poi pensavi al grande Hagi, una divinità con il pallone tra i piedi, e tutto era più bello. Io ho iniziato a 6 anni nell’Olimpia, facevo l’attaccante e segnavo valanghe di gol. Mi piaceva, ma ancor di più studiare perché i miei genitori ci tenevano molto. Diciamo che ero un po’ il “secchione” della classe. Noi romeni siamo molto portati per le lingue straniere, io studiavo inglese e francese, e non pensavo che un giorno avrei imparato l’italiano».

Il piccolo Sergiu cresce e inizia a frequentare una sorta simile al liceo sportivo. «Quando i miei genitori, per lavoro, si sono dovuti trasferire a Torino, ho cambiato tutto e iniziato a frequentare le scuole medie. La lingua? I primi sei mesi sono stati difficilissimi, ma con il tempo mi sono integrato molto bene, e non ho mai avuto problemi di discriminazione. Se devo essere sincero, sotto questo profilo, credo che gli italiani siano più in contrasto tra nord e sud del loro Paese, che verso gli stranieri. L’Italia è un popolo di migranti, ci è già passata. I romeni sono grandi lavoratori, persone umili, poi è logico che le mele marce ci siano dappertutto».

Storia e geografia sono le materie in cui Suciu eccelle a scuola, ma sul campo quando arriva al Torino il responsabile del settore giovanile granata (Antonio Comi) lo vede diversamente e lo indirizza a centrocampo. Gol pochi, partite tante, ed ecco che spunta un cacciatore di palloni e, quando serve, anche di caviglie. A Suciu fin da giovane piace viaggiare «e con il calcio mi sono trovato a fare la cosa giusta» ammette, «ma se non avessi fatto questo mestiere sarei probabilmente diventato avvocato». La toga è rimasta poi un obiettivo irraggiungibile, ma le soddisfazioni non sono mancate sui prati degli stadi, a parte la prima stagione con il Toro. «Era il 2003 ed essendo romeno ero ancora extracomunitario» racconta, «mi è toccato aspettare un anno, allenandomi con il gruppo, prima di poter giocare. Poi anni di grandi sfide, duelli nei derby con la Juventus, tanti purtroppo persi, come la semifinale al Viareggio».

Non parlategli poi dei bianconeri, perché il cuore di Suciu è solo granata. «A Torino c’è solo una squadra ed è il Torino» avverte deciso «un club con una storia fantastica, conosciuto ovunque nel mondo, che ha lasciato il segno, e non fosse stato per Superga… Ci hanno portati varie volte sul luogo della tragedia. Se non sei un giocatore del Torino non puoi capire fino in fondo cosa abbia rappresentato» .

Poi tante divise da nord a sud. In Friuli è arrivato due anni fa per Bruno Tedino. «Non sapevo neppure dove fosse Pordenone, sulla cartina geografica, quando me lo proposero. Ma Tedino mi volle a tutti i costi. Le nostre famose lezioni private di tiro? Nulla di particolare, semplicemente si restava a lavorare a fine allenamento sui dettagli, ma cose preziose cui gli sarò sempre grato».

Legata ai neroverdi resta la grande amarezza della sfida dei playoff persa a Firenze l’anno scorso contro il Parma. «Fu uno scippo autentico. Tutti ci chiesero come mai non protestammo per il rigore clamoroso che non ci fu concesso. Ma furono tanti gli episodi spiacevoli in quella partita».

Bello viaggiare, una passione per Suciu, che di Venezia dice: «Una delle cinque città più belle d’Europa. Non potete immaginare cosa rappresenti per uno straniero. Per me non ha eguali». E la Romania? «È un Paese con una grande storia, e anche la mia Transilvania ha un passato interessante. Cosa abbiamo di bello? Delle ragazze stupende, e pure le zuppe sono molto famose. Ma ora sono in Italia dove tutto o quasi è bello, dal cibo alla lingua, dalla cultura a tanti luoghi meravigliosi». Maglietta e pantaloni neri, occhiali scuri e cappellino bianco da baseball, tutto sembra estremamente “easy” in Sergiu Suciu, anche se poi i tatuaggi balzano all’occhio. «Non so neppure quanti ne ho sul mio corpo, e quando sono nudo mi sento ancora vestito. Una passione nata in un periodo in cui al Torino ho subito parecchi infortuni. Se con il Venezia andremo in Serie A me ne farò anche un paio, il leone del gonfalone mi piace da impazzire». Fuori dal campo Suciu si definisce un “ragazzo pane e salame, grande appassionato di tennis e basket Nba . Ma non parlategli dei social network. «Sono molto attento alla privacy, è la sola cosa che ci è rimasta da difendere. Odio Facebook e Twitter, al massimo uso un po’ Instagram. Ma bisogna tenersi qualcosa per sé stessi, non ha prezzo. Oggi nessuno ti chiede se sei felice, e ci si deve godere ogni cosa».

Il futuro per ora è lontano. «Mi piacerebbe un giorno rimanere nell’ambiente del calcio, avere una famiglia e dei figli. Se avessi un figlio non gli imporrei il calcio, deciderebbe lui cosa fare, ma prima di tutto: lo studio». E allora non resta che il presente, i playoff di serie B e poi le vacanze. «Non ho pensato a nulla, mi piace improvvisare. Intanto spero che sia un finale di stagione vincente anche se abbiamo già fatto cose straordinarie. Siamo ai playoff, possiamo ancora sognare la promozione in Serie A, una stagione bellissima che può diventare fantastica».

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