«Chiuso in casa passo il tempo a dipingere che emozione quell’amichevole al Mecchia»

Lorenzo Buffon, 90 anni, rievoca la Milano degli anni Cinquanta, gli scudetti con Milan e Inter, lo sfortunato mondiale in Cile 



PORtogruaro

Novantuno anni il prossimo 19 dicembre: Lorenzo Buffon trascorre serenamente la vecchiaia nella sua casa di Latisana, assieme alla moglie Loredana. Il Friuli è zona arancione, Lorenzo esce poco. Intanto non smette di dipingere. «È la mia passione sin da quando ero ragazzo: di recente ho riscoperto il dipinto a tema religioso. Dipingendo il tempo passa in fretta: in pratica ho riempito la casa di quadri».

Si appresta a compiere 91 anni: come sta?

«Ho qualche acciacco, ma non mi posso lamentare».

Settant’anni da quell’amichevole al Mecchia; lei era un giovane con una grande carriera appena iniziata.

«Quella partita volli giocarla nel Portogruaro per riabbracciare i compagni di squadra in maglia granata. C’era una folla incredibile a vedere la partita. Ho iniziato a giocare a calcio nella squadra dell’oratorio di Latisana, ma la stagione 1948-49 a Portogruaro è stata importantissima perché mi diede l’opportunità di farmi notare dal Milan».

In quegli anni del dopoguerra come raggiungeva Portogruaro?

«All’inizio veniva a prendermi il dirigente Zecchinel in moto, ma correva troppo veloce. Quando scendevo dalla moto mi tremavano le gambe; ho ritenuto più salutare fare l’abbonamento all’autobus».

Cosa le resta del campionato a Portogruaro?

«Giocammo in Promozione Interregionale, giungendo secondi dietro il Sandonà. Eravamo una bella squadra: ricordo Capitanio, Antonio Mascarin, mio coetaneo ancora in vita, Carniel, che pure lui venne al Milan, Lazzarini e altri».

Ha ancora amici a Portogruaro?

«Molti, non appena posso vengo a Portogruaro a salutarli. L’anno scorso sono venuti a casa mia in occasione del centenario del Portogruaro calcio, regalandomi una sagoma che mi riproduce in vesti da calciatore a grandezza naturale. Sono molto affezionato a Portogruaro».

Poi il professionismo, quattro scudetti col Milan, uno con l’Inter.

«Sono rimasto milanista perché in quella squadra ho giocato e vinto tanto. Lo scudetto più bello è stato il primo, nel 1951. Il Milan non lo vinceva da inizio secolo, noi interrompemmo quel lungo digiuno. Insomma un fatto storico».

Era legato a qualche compagno di squadra in modo particolare?

«Nils Liedholm: appena arrivato al Milan non giocavo, avevo altri portieri davanti, ma un giorno, con quel suo inconfondibile italiano con l’accento svedese, mi predisse il debutto. Ebbe ragione, debuttai in Milan-Sampdoria 4-1».

Che Milano era quella degli anni Cinquanta e primi anni Sessanta?

«Città piccola, nemmeno paragonabile a quella attuale. Frequentavo luoghi della mondanità, ricordo Valter Chiari e Ugo Tognazzi, tifosissimi del Milan. Inoltre ero sposato con Edi Campagnoli (modella e personaggio televisivo dell’epoca, scomparsa nel 1995 ndr), che ho perduto ahimè troppo presto».

Veniamo alla nazionale italiana, quella degli oriundi, del Mondiale in Cile.

«Sono orgoglioso di aver giocato in azzurro e di aver indossato sei volte la fascia di capitano. In Cile andò tutto storto: giocai due partite su tre, senza subire gol. Zero a zero con la Germania e vittoria 3-0 con la Svizzera. Nella seconda gara Mazza e Ferrari cambiarono sei giocatori, me incluso e perdemmo 2-0 col Cile. Fu una partita segnata da clamorosi torti arbitrali ai nostri danni. Venimmo eliminati nel girone, eppure era una squadra potenzialmente fortissima con Sivori, Altafini, Rivera, Bulgarelli Maldini».

Veniamo ad oggi: che effetto le fa il calcio ai tempi della pandemia?

«Guardo ancora le partite ma senza pubblico non è la stessa cosa, perdi buona parte dello spettacolo, è un po’ triste».

Si sente solo nel confinamento territoriale?

«No, io ho Loredana, mia figlia Patricia che da Milano mi telefona tutti i giorni, e non appena riapriranno i confini regionali tornerà a trovarmi, come ha sempre fatto. Inoltre ho tantissimi amici ed estimatori: c’è gente che mi scrive da diverse parti del mondo. Ci sono gli amici di Latisana, di Portogruaro, quelli dei Milan club del Friuli Venezia Giulia e tanti altri. Mi chiamo Lorenzo ma di secondo nome sono Fortunato, per quello che sono e per quello che sono stato». —



Riproduzione riservata © La Nuova Venezia