Andrea Turchetto «Alleno e imparo, dico grazie alla Cina»

Il tecnico mestrino, ex vice Mazzon, ora guida il Guangzhou: «Vivo bene, ma la squadra arranca. Il problema è la lingua»

MESTRE. Inizio d’anno in Cina per Andrea Turchetto, il tecnico mestrino promosso head coach dei Guangzhou Lions a fine novembre, dopo essere stato l’assistente di Andrea Mazzon per alcuni mesi. Il Guangzhou è all’ultimo posto con 4 vittorie e 21 sconfitte, il bilancio personale di Turchetto è 4-11 dopo un mese e mezzo. Dopo la partita del 4 gennaio (88-114 contro il Sichuan BW), i Lions del tecnico mestrino ritorneranno sul parquet mercoledì 11 a Urumqi contro i Xinjang Flying Tigers.

Ma come è nata questa avventura cinese di Turchetto?

«È nata quando Mazzon in estate mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto fargli da vice. Ho accettato al volo perché un’esperienza all’estero mi ha sempre affascinato. Il campionato non è iniziato bene, perdendo le prime 10 partite, molte immeritatamente, poi il club mi ha chiesto di diventare capo allenatore. Mazzon è stato il primo ad incoraggiarmi a continuare senza problemi. Resta quindi da parte mia l’estrema gratitudine nei suoi confronti».

Come si vive in Cina?

«Per molti aspetti è molto più facile di quanto si possa immaginare. Sono preziosissime tutte le premure che il club ha nei miei confronti cercando di accontentare qualsiasi richiesta affinché la quotidianità sia normale. La circostanza, poi, che la franchigia sia stata trasferita da Foshan a Guangzhou (Canton), che è la terza città più grande e ricca della Cina dopo Pechino e Shanghai, conta tantissimo. Mi sembra di vivere in qualsiasi metropoli americana in cui non manca nulla».

Il problema maggiore?

«La lingua, ovviamente, perché per qualsiasi cosa bisogna sempre passare attraverso il traduttore. Sembra incredibile, ma nessuno parla mezza parola di inglese».

Quanto le manca l’Italia?

«Se devo essere sincero, non molto. Certo, mi mancano le persone e ogni tanto mi manca un po’ il cibo, ma l’Italia nel complesso no. La pallacanestro è la mia passione più grande e anche il mio lavoro. Mi sento realizzato quando riesco a farlo specialmente nelle condizioni migliori, sono contento e nonostante ci siano sempre nuove difficoltà e nuove sfide, sono quelle che cerco e che voglio provare a vincere».

Quanto sta ricevendo dalla Cina sul piano professionale?

«Molto, e non sono dal punto di vista professionale. A dispetto di quello che la gente crede, il campionato cinese è estremamente complesso: il livello tecnico non è altissimo, ma la fisicità è importante. E c’è un divario evidentissimo tra gli stranieri che potrebbero giocare in Eurolega o in NBA e i giocatori cinesi. Affinché la squadra funzioni, bisogna trovare l’equilibrio tra questi due poli distanti. Non è semplice».

Come è articolato il campionato cinese?

«La regular season è iniziata il 30 ottobre e finirà il 19 febbraio, sono 38 partite in totale, si giocano tre gare ogni settimana. I ritmi sono serratissimi e le trasferte, tra voli aerei e spostamenti vari, sono molto impegnative. Tempo per se stessi ce n’è veramente poco visto che il lavoro di preparazione delle partite, tra video e report, è esattamente lo stesso che si fa in Italia. Lo staff è abbastanza ampio, ma non abituato al nostro modo di lavorare quindi ci vuole tempo per fare in modo che tutto vada nella direzione corretta».

Due stranieri per squadra e tanti giocatori locali?

«Esattamente. La scelta della CBA, la Chinese Basketball Association, in questo senso è chiara: il campionato cinese serve a sviluppare i giocatori cinesi. La formula può essere discutibile, tuttavia la ratio che le sta dietro è assolutamente chiara».

Michele Contessa

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