Bambino violento in aula, i genitori dei compagni preoccupati: «I nostri figli a rischio»

Il caso in una primaria in provincia di Treviso: botte e continue aggressioni ai compagni. Le famiglie: «Non riusciamo ad aiutarlo», la palla passa alle istituzioni

Lorenza Raffaello
Bambino violento in aula, in una scuola trevigiana scoppia il caso
Bambino violento in aula, in una scuola trevigiana scoppia il caso

«Mio figlio ha 9 anni e ha smesso di raccontare quello che succedeva a scuola, non una parola, non una reazione. Quasi l’apatia». «Il nostro, invece, ci riportava ogni particolare, lo faceva con tono ironico, ma finite le lezioni ha ammesso che è stato un anno difficile. Alcuni dei loro compagni non vogliono più tornare in aula».

I bambini reagiscono in modi diversi davanti alla violenza fisica e psicologica, soprattutto se perpetrata da un coetaneo.

La vicenda

Per una classe quarta di una scuola primaria della provincia, quello appena terminato è stato un anno scolastico complicato. Anzi, più precisamente, drammatico. La situazione è degenerata da febbraio, quando in classe è arrivato, da un altro Stato, un bambino di 10 anni, un anno più grande degli altri.

Aggressioni fisiche, minacce verbali, continue allusioni sessuali e quotidiane esibizione dei genitali e, ancora, svastiche disegnate su muri e sulle lavagne. I comportamenti di violenza, finiti in due occasioni anche con un accesso al pronto soccorso di un bambino, sono riusciti a modificare il clima all’interno della classe e, giorno dopo giorno, a far crescere il terrore. Soprattutto di fronte all’impotenza delle maestre.

Il paradosso

Avendo meno di 12 anni e nessuna certificazione di disabilità cognitiva, non sono previsti strumenti per risolvere la situazione nell’immediato e, così, le insegnanti sono diventate esse stesse vittime dei comportamenti sprezzanti del bullo.

A nulla è valso il coinvolgimento del dirigente scolastico, dell’ex provveditorato agli studi, delle istituzioni comunali e regionali, anche le forze dell’ordine sono al corrente. Nessuno può intervenire, se prima non lo fanno i suoi genitori.

Che se ne guardano bene: «Nostro figlio prima era il sole, è diventato ombra quando è arrivato qui. Abbiamo decine di referenze positive».

Il precedente all’estero

Parole che non coinciderebbero con la realtà, perché il ragazzino, nel suo Paese natale, era al centro di una protesta mossa dai genitori dei compagni di classe che avrebbero ritirato tutti i loro figli da scuola, un’azione finita anche sulla stampa locale e che ha provocato il licenziamento del preside, solo per il fatto di aver preso una posizione.

Le famiglie, dopo mesi di soprusi, hanno raggiunto l’obiettivo: a novembre il ragazzino aveva lasciato la scuola e il Paese. Un trasferimento che lo ha portato con la sua famiglia nella Marca e all’iscrizione nell’istituto in questione. Il problema, dunque, si è solo spostato.

La situazione qui in Italia non ha raggiunto apici del genere, ma i trevigiani sono preoccupati: «Se da febbraio ha fatto tanto, in un anno intero cosa farà? Il suo comportamento ha provocato nei bambini dei grossi patimenti: tanti non vogliono andare a scuola, hanno paura, non si sentono tutelati, non è garantita la loro serenità», spiegano i genitori tra l’esasperato e il preoccupato.

La diffida

Di fronte a tanti episodi di violenza, le famiglie, di comune accordo, hanno prima organizzato due riunioni in cui sono stati invitati anche i genitori del ragazzino, davanti però hanno trovato un muro.

In concomitanza hanno coinvolto le insegnanti: «Le maestre sono state sin da subito messe al corrente di tutto, ma non hanno gli strumenti per intervenire, il ragazzino si prende gioco anche di loro e il risultato è che i bambini cominciano a credere che sia legittimo comportarsi da bulli. Poi, temiamo che possano venire incolpate di non aver vigilato adeguatamente la classe, ma non è così, il soggetto è fuori controllo», spiegano le mamme e i papà, che allora si sono rivolti ad un avvocato che ha redatto una diffida. La scuola li ha rassicurati: il caso è stato segnalato anche attraverso altri canali.

La sospensione

A fine maggio, dopo l’episodio che ha portato un compagno per la seconda volta all’ospedale, il ragazzino è stato sospeso per 15 giorni.

«I bambini hanno tirato un sospiro di sollievo, ma il ragazzino non può essere sanzionato: dal punto di vista legale non sono previsti provvedimenti. La logica da applicare è quella della rieducazione e la soluzione dovrebbe arrivare dall’alto, ma ci vuole tempo perché avvenga. Il problema è che nel frattempo ci siamo noi e i nostri figli. E i tempi non sono compatibili con i nostri: abbiamo un anno davanti che è l’ultimo delle elementari».

Il paradosso, secondo le famiglie, è che si parla tanto di bullismo, ma di strumenti per contrastarlo non ce ne sono. I bambini si sono salutati l’ultimo giorno di scuola con la paura, «ne va della loro incolumità, stanno crescendo e potrebbero rimanere danni a livello psicologico e con essi anche la paura fisica», spiegano meglio.

Diversamente da quanto successo all’estero, qui i genitori non vogliono muovere masse per allontanare il ragazzino: «Sarebbe bello promuovere attività per fermare il bullismo e fornire un supporto psicologico alle vittime di questo atteggiamento». Forse il cambiamento passa anche da qui.

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