Il fusto piombato sulla tenda del chiosco a Venezia, il titolare: «Era già accaduto»
Lo schianto, il botto e il sangue sui masegni: «Una scena surreale». Il racconto del barista che punta il dito sulla tenuta delle piante: «Queste si sbriciolano»

Un pomeriggio di un giorno di festa. Con i turisti ma senza il viavai degli studenti e dei lavoratori, con il primo sole estivo che inizia a scottare e le tende del chiosco abbassate per cercare un po’ di ombra.
Kanan Haque era dietro il bancone, intento a sistemare le bibite, a riporre le monetine in cassa, dopo l’ennesima bottiglietta d’acqua venduta ai turisti di passaggio, quando improvvisamente ha sentito un boato.
Il leccio alto 15 metri e largo 3 era caduto proprio sulla tenda che aveva aperto solo qualche ora prima, per riparare il chioschetto dal sole. Dopo il boato, le grida. E, davanti agli occhi, delle donne a terra, delle bambine in lacrime. Il rosso del sangue sui masegni, i rami tutt’intorno.
«Sono uscito subito a vedere cosa fosse successo, non ci potevo credere», racconta Haque ancora con gli occhi sbarrati, «ho visto delle persone a terra, del sangue, allora ho portato dell’acqua e delle salviette per i feriti, è stata una scena surreale».
Il giovane barista spiega di aver fatto del proprio meglio per aiutare le persone coinvolte in quegli attimi così concitati, in cui lo spavento era troppo per realizzare cosa effettivamente stesse succedendo. Se solo l’albero fosse caduto con un’inclinazione leggermente diversa, avrebbe potuto finirgli sulla testa. Se solo in quel momento fosse stato fuori, sotto la tenda, l’albero sarebbe caduto su di lui. Tanti se che scorrono davanti agli occhi di Haque, mentre guarda quel colosso riverso a terra, nell’area delimitata dalla polizia locale.
«Sono ancora incredulo per quello che è successo, avrei potuto rimanere sotto anche io». Davanti agli occhi le donne ferite, la corsa di un medico, i tentativi di rianimazione. Due bambine che piangevano, non capendo cosa stesse succedendo alla loro mamma. E lui, Kaanan Hoque, a distribuire bottigliette d’acqua, un antidoto contro l’affanno del momento.
Poi lo spiegamento dei soccorsi, le sirene spiegate delle sei ambulanze arrivate dalla terraferma, i pompieri e le forze dell’ordine, il cordone della polizia locale per far defluire il traffico. Tutto sotto i suoi occhi increduli, gli occhi di un lavoratore che si aspettava un giorno come tanti e, invece, si è trovato al centro di una tragedia sfiorata.
Subito dopo la caduta del leccio, anche Lucio Rosteghin, proprietario del chiosco di bibite, si è precipitato sul posto, lasciando il locale vicino in cui stava lavorando. Lui, quella paura la conosce bene perché l’11 novembre del 2022, un altro albero si abbatté sul suo chiosco, provocandogli ventimila euro di danni e sei mesi di chiusura.
«Io non sono un esperto di piante», premette, «ma basta guardarle per capire che forse non sono così sicure: su alcuni alberi i rami sono sostenuti dai tiranti, qualcosa vorrà pur dire. È questione di sicurezza», fa notare, «ci sono delle persone ferite gravi e avrebbe potuto essere una vera e propria tragedia se fosse caduto in un altro momento, considerando quanto sia affollata la zona con il passaggio degli studenti tra università e scuole».
Rosteghin toglie da un fazzoletto di carta brandelli di corteccia del leccio, raccolti a pochi passi dalla sua attività. «Questo è il suo interno, sembra carta. È completamente marcio», osserva, «è normale che sia caduto, se queste sono le condizioni».
Anche Hoque si dice dubbioso sullo stato di salute delle piante di piazzale Roma, inclina il viso verso l’alto per guardarle meglio e notare i rami sostenuti da lunghi tiranti neri, i tronchi che si incurvano, creando nuove geometrie ma anche incognite sul loro stato di salute.
«Quando venivano gli addetti ai controlli», spiega, «io come altri commercianti chiedevo informazioni sullo stato degli alberi e mi dicevano che andava tutto bene. L’ultima, solo qualche giorno fa e anche in quell’occasione mi avevano detto la stessa cosa, che andava tutto bene».
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia