Giochi nei campi, tuffi dai ponti: com’eravamo negli anni Sessanta

Nello spazio Cincotto, alla Misericordia, il racconto per volti di Andrea Grandese Una Venezia inquinata ma viva, fatta di mestieri che ormai non esistono più

VENEZIA. «Penso che queste fotografie siano una sorta di mio, personale racconto socio-poetico dei veneziani degli anni Sessanta: una storia per volti della città di allora. Ho ritrovato quasi per caso i negativi di queste foto che ho scattato cinquant’anni fa con la Pentax che mi avevano appena regalato, quand’ero tra liceo e università, sopravvissuti chissà come a cinque traslochi. Ho scoperto che meritavano di essere stampati, perché raccontano gli abitanti di una città che in gran parte non c’è più».



Andrea Grandese presenta così “I veneziani negli anni ’60”, la sua mostra fotografica in bianco e nero, che sarà inaugurata il 24 marzo e resterà aperta fino al 14 aprile nella galleria lungo fondamenta della Misericordia, ospite del laboratorio di restauro Cincotto (una perla dell’artigianato più sapiente, che ancora opera in città). Un racconto per volti, appena velato di nostalgia per una Venezia che era - allora - anche una città fortemente inquinata nell’aria e nell’acqua, degradata nei suoi palazzi non ancora restaurati. Ma certamente viva. Bambini che si tuffano con beata incoscienza in canale dal ponte dell’Arsenale o fanno a gara a chi si arrampica più velocemente sulle inferiate di un palazzo: oggi c’è chi griderebbe al “degrado”, come davanti al torso nudo di un pittore di strada, che sorride al fotografo dalla riva di un canale.

Il ciabattino che ha portato all’aperto il suo banco di lavoro; un venditore di scope che legge il giornale accanto a spazzettoni, carriole, detersivi poggiati per strada all’ingresso. Le risate degli adulti nelle corse tra auto al Luna Park e la venditrice di caramelli a ridosso di Palazzo Ducale. Il pescatore con la barca a remi colma di reti, ormeggiato al mercato di Rialto. Ancora bambini che giocano a terra, sotto i manifesti di Che Guevara alla “Festa del popolo” in campo San Polo. Alle pareti, 32 scatti scelti tra i 120 raccolti nel bel catalogo con prefazione di Silvio Testa e presentazione di annalisa Bruni (edizioni Gambbier&Keller, 20 euro) divisi in sei aree dai titoli evocativi: Venezia città normale, operosa, antica, chiassosa, la Venezia città viva e quella silente.

«Ho riscoperto in queste foto, figure oggi ormai inesistenti: il “gancer”, il fruttivendolo che a Rialto vendeva solo patate. Bambini che giocavano in assoluta libertà nei campi: i genitori erano splendidamente assenti», racconta ancora Grandese, laurea in Sociologia a Trento e una vita da conosciuto editore specializzato in libri illustrati e d’arte.



A curare la mostra, il collezionista Mario Trevisan; la stampa delle foto su carta Fiber Silk Barrity e inchiostri a pigmenti, bianconero di Vittorio Pavan.

«Certamente Venezia allora, per certi versi, era una città “malsana”. Si faceva fatica a stare: i miei dovettero trasferirsi a Mestre», ricorda, «questa non era certo l’età del l’oro, ma non c’è dubbio che scatti automatico il confronto con la Venezia turistica di oggi. Ho voluto dare un’immagine delle persone e i mestieri che si incrociavano in città. Con un pizzico di nostalgia della gioventù». —


 

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