A Trieste la grande storia dell’Adriatico raccontata da relitti e tesori dei fondali

Oggi al Salone degli Incanti s’inaugura l’esposizione che raccoglie un migliaio di reperti:  dalla nave Iulia Felix a una copia del bronzo di Lussino al sommergibile Molch
I tesori del mondo sommerso riemergono dal profondo degli abissi con la mostra “Nel mare dell’intimità”, che con gli occhi dell’archeologia subacquea si propone l’ambiziosa impresa di raccontare la storia dell’Adriatico, dall’antichità ai giorni nostri. L’esposizione si inaugura oggi, alle 17.30, al Salone degli Incanti (l’ex Pescheria) sulle Rive (domani l’apertura al pubblico), dove grazie all’allestimento curato dall’architetto Giovanni Panizon si trasformerà in un grande fondale sommerso, saranno esposti un migliaio di reperti provenienti praticamente da ogni territorio bagnato da questo mare, grazie ai prestiti di musei italiani, croati, sloveni e montenegrini. Relitti, opere d’arte e oggetti della vita quotidiana, merci destinate alla vendita e attrezzature di bordo ripescate dalle profondità del nostro mare saranno proposti al pubblico in una visione d’insieme, con un’esposizione di 2000 metri quadri in cui lo spettatore, senza bisogno di bombole e boccaglio, sarà virtualmente immerso.


Ciascun reperto racconta un pezzetto di storia dell’Adriatico, che si potrà poi approfondire grazie a un dettagliato catalogo edito da Gangemi, curato da Rita Auriemma con la progettazione grafica della Trart di Trieste. Negli abissi del mare dell’intimità sono rimaste celate per lungo tempo storie di traffici commerciali, di incroci tra popoli, di pace e di guerra. Le vicende degli uomini che solcarono queste acque fin dall’antichità ci ricordano le difficoltà della navigazione, il timore reverenziale con cui ci si approcciava a un mare che, per quanto circoscritto e mappato, non si poteva considerare né conosciuto né controllabile. Non a caso una delle dieci sezioni è dedicata al rapporto tra l’andar per mare e il sacro: nella sua dimensione più inconscia la navigazione incute soggezione non soltanto per i pericoli del mare, ma per quella dimensione incerta che è lo spostamento, l’incontro con il lontano, il diverso. «Esiste un singolare paesaggio del sacro comune in tutto l’Adriatico, fatto di luoghi e di miti che punteggiano l’interfaccia fra la terra e il mare - spiega Rita Auriemma, archeologa subacquea e curatrice della mostra -. Qui l’homo religiosus consegna i punti più significativi della terraferma ai segni del sacro, per offrire a chi naviga un messaggio d’accoglienza, così come dalla riva verso il grande ignoto, il navigatore affida al divino la speranza del viaggio, del buon approdo, del ritorno. Particolare valenza simbolica e religiosa hanno dappertutto i luoghi - promontori e isole, scogliere, falesie, approdi - a cui si affida la “memoria di lungo corso” dei naviganti. In questo sistema i passaggi cruciali, che dalla costa suggerivano ai marinai il rischio del morire in mare o la gioia d’averlo scongiurato, erano naturalmente, profondamente, percepiti come luoghi sacri». Durante tutta la storia dell’Adriatico e con maggior virulenza nel Secolo breve ai pericoli della navigazione per mare si sommarono i conflitti. Li racconta la sezione “La guerra sul mare”, che raccoglie testimonianze di battaglie e storie di pirati e corsari, che s’intrecciano con le guerre vere e proprie. L’Adriatico fu infatti terreno di caccia per i pirati Uscocchi, cristiani cattolici provenienti dai Balcani che si stabilirono sulle coste dell’Adriatico per sfuggire all’avanzata dei Turchi. Ma fu anche teatro di numerose battaglie: se ne trova traccia nei reperti che ricordano, per esempio, gli scontri tra flotte musulmane e cristiane durante la battaglia di Lepanto del 1571. O nei resti della fregata francese Danae, che fra il 1811 e il 1812 fu impegnata in alcuni scontri a fuoco contro unità inglesi in Adriatico, tra cui la battaglia di Lissa del 13 marzo 1811. La Danae non cadde in battaglia, ma colò a picco per un’esplosione, forse un sabotaggio, nel 1812, mentre era ormeggiata al molo San Carlo, proprio nel porto di Trieste. Passando al Novecento e alle due guerre mondiali in mostra si potranno anche vedere, per la prima volta, i reperti, recentemente ripescati dalla baia di Muggia, della corazzata austroungarica Wien, affondata nel 1917 da due Mas italiani comandati da Luigi Rizzo. E ancora la prua del sommergibile italiano Medusa, affondato nel 1915 al largo di Venezia, e il timone di coda del Bombardiere B24, colpito dalla contraerea e precipitato in mare al largo di Grado nel 1945. La mostra “Nel mare dell’intimità” è organizzata dal Servizio di catalogazione, formazione e ricerca dell’Erpac e dall’assessorato alla Cultura del Comune di Trieste. Si avvale della collaborazione di oltre 60 istituzioni culturali italiane e internazionali. La mostra è anche un’occasione per visitare Trieste e dintorni.


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