Vetrine spente nelle mercerie di Venezia, «Il 40 per cento dei negozi non riaprirà più»

VENEZIA. Dieci negozi chiusi nelle Mercerie, altri cinque nella vicina Spadaria, dietro Piazza San Marco. La crisi non risparmia nessuno: botteghe di specialità veneziane, grandi firme, marchi dal buon rapporto qualità prezzo come Massimo Dutti, ma anche di tendenza come le calzature Camper, i pizzi di Burano, la gioielleria che era lì da decenni.
Lo shopping
La strada dello shopping, dove fino a un decennio fa c’era la coda per avere una vetrina, ora arranca. Se griffe come Dolce & Gabbana erano già migrate da tempo in via XXII Marzo, altre insegne sono state spente in questi mesi, come Tosca Blu, il negozio di carta fatto a mano, due o tre di souvenir. E lì dove le luci sono spente da tempo, non c’è stato alcun ricambio.
Le chiusure
«L’aumento dei contagi e la stretta su orari e movimenti non aiutano né incoraggiano le aziende a tenere aperta la propria attività», dice il presidente di Ascom Venezia, Roberto Magliocco, «la situazione è più grave di quella che qualcuno pensa e, se continua così, salvo miracoli, il 40% di quelli che hanno chiuso o chiuderanno in questi mesi per la mancanza di turisti è destinato a non riaprire più».
Le perdite
Se le attività commerciali delle zone meno centrali come Cannaregio o Castello hanno sofferto un po’ meno perché hanno potuto contare sulla clientela veneziana, limitando mediamente le perdite al 30-40% in meno, i negozi dell’area marciana, che lavorano quasi esclusivamente con il turismo, hanno accusato il colpo in maniera a volte drammatica.
Gli incassi
In Piazza San Marco non solo ha chiuso un negozio su quattro, ma quelli rimasti aperti hanno avuto perdite fino all’80-90% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, quando l’acqua alta del 12 novembre doveva ancora stravolgere la città. Nelle vicine Mercerie, dove la maggior parte dei negozi è di abbigliamento e calzature, l’impatto è stato meno forte, ma la chiusura di numerose aziende e il mancato ricambio (i locali di Dolce & Gabbana sono vuoti da anni) sono la cartina al tornasole di una crisi che per i negozi del centro storico è acutissima da quasi un anno.
Gli affitti
«Al mancato incasso in alcuni casi non ha corrisposto un equilibrio sull’accordo sul canone di locazione con i proprietari», dice ancora il presidente di Ascom, «alcuni sono arrivati a offrire fino al 50% di riduzione dell’affitto, ma per molte aziende non è stato sufficiente. Ci vuole una moratoria di almeno sei mesi, una detassazione per il mancato incasso e per il canone di locazione».
Le prospettive
Ma la difficoltà maggiore, percepita anche dalle altre categorie economiche della città, è l’impossibilità di vedere la fine. Quanti mesi, con quali altre strette, con che tipo di turismo, se ci sarà ancora? «Il problema più brutto è che non si vedono prospettive», conclude Magliocco, «l’incertezza che abbiamo di fronte è la cosa che più spaventa. Alcune aziende avevano dei soldi da parte e ce l’hanno fatta, sperando che l’emergenza sanitaria fosse passeggera, ma adesso?». —
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