Venezia, la pace al centro della messa di Natale di Moraglia
Un pensiero a Gaza e all’Ucraina dalla Basilica di San Marco, dove è stata celebrata la messa solenne

La pace è stata al centro della messa solenne di Natale, celebrata dal patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, nella basilica di San Marco. «Il Natale è il dono della pace», ha detto, «ciò di cui noi, in questo tempo, avvertiamo la nostalgia, soprattutto per le guerre a Gaza e in Ucraina, senza tralasciare altri 60 focolai di guerra accesi nel mondo, non meno crudeli di quelli a noi più noti; il fatto è che sono più lontani, quindi, meno conosciuti, non per questo meno sanguinosi».
«Ma quale pace? Che tipo di pace? Al tempo di Gesù vigeva la pax romana, imposta da Roma; era la pace’ imposta dalla pura forza: le legioni. Ma la pace di Gesù è altra cosa: riconoscere che Dio è Dio e, quindi, l’omo non può essere la misura di tutte le cose ma è chiamato a riconoscere i propri limiti insieme alla propria grandezza. Pace vuole dire, anche, saper costruire una storia e delle relazioni personali, familiari, sociali e politiche a partire dalla verità, dalla giustizia e dal bene, realtà che precedono l’uomo, lo animano e lo sostengono»
«Questa pace», prosegue Moraglia, «dura finché uno dei due contendenti riesce ad imporsi sull’altro. La storia del Novecento ne è esempio emblematico. La pace di Versailles non fu una pace ma - come disse Benedetto XV – si concretizzò nel preparare la dichiarazione di un’altra guerra. Così ai circa 20 milioni di morti della Prima Guerra Mondiale fecero seguito i 60-70 milioni della Seconda. Perché si arrivò a questo? Perché la pace era intesa come dominio del forte nei confronti del debole, del vincitore nei confronti dello sconfitto; non c’era spazio per la misericordia, per il perdono, ma solo per la volontà di rivincita sull’altro fino ad annientarlo. E questo portò ad una nuova guerra che non deflagrò nel momento in cui fu invasa la Polonia, ma quando s’iniziò a covare odio e a pensare alla vendetta. L’odio, le sanzioni, il venir meno di scambi culturali; la guerra inizia così».
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