Detenuti al call center per il Cup dell’Usl 3, presto nuove opportunità dentro la Basilica
Funziona l’esperimento con gli operatori che stanno scontando la pena nel carcere veneziano: aumenta il numero di chi lavora per l’ospedale

Se chiamate il Cup dell’Usl 3 per prenotare un esame di laboratorio, molto probabilmente vi risponderà al telefono un operatore-detenuto, da Santa Maria Maggiore. Un esperimento che si è trasformato in pochi mesi in una realtà consolidata, che ha visto il 30 giugno la direzione del carcere aprire un secondo ufficio call center, ampliando anche il numero dei detenuti formati per questo servizio: sono passati da 6 a 9 e potranno così aumentare le 300 telefonate gestite sinora ogni giorno, per un totale di 20 mila da quando a novembre è partito il servizio.
Chi sono? Sono tutti italiani, tra i 25 e i 45 anni. Molti di loro sono laureati e con competenze informatiche utili a gestire le agende di prenotazioni elettroniche. Tutti, via via, vengono inquadrati a tempo indeterminato. Uno di loro ha l’autorizzazione per lavorare al Cup dell’Angelo.
Il loro entusiasmo trasmette il valore dell’intera operazione: «Per noi relazionarci con il mondo fuori è motivo di entusiasmo, e quando poi, soprattutto con gli utenti anziani, riusciamo a rispondere alle loro richieste d’aiuto, diventa gioia vera», racconta uno di loro. «Da quando abbiamo questo lavoro andiamo a letto prima per essere più concentrati e abbiamo la voglia di portare il sano anche nel resto delle ore che trascorriamo qui», gli fa eco un collega. «Ora abbiamo uno scopo. Quando lavoriamo ci sembra di essere fuori dal carcere, di avere possibilità di riscatto».
A seguirne formazione e attività, il Consorzio 100 orizzonti, con Consorzio Zorzetto e Coop Noi Group. Il loro è un impiego a termine, che passerà ad altri detenuti a fine pena, ma l’Usl si è impegnata a trovare loro una collocazione.
«La sanità ha la funzione importante di curare, ma curare significa prendere per mano la persona», osserva il direttore generale Edgardo Contato, «salute è stato di benessere fisico, psichico e anche sociale. E in questo la detenzione non deve essere esclusione, ma tentativo di riallinearsi con il mondo, pronto ad accogliere fuori. Il Cup diventa una finestra del carcere che si apre all’esterno, di riappacificazione con la comunità. Per noi funziona sia in termini economici che sociali».
Il direttore Enrico Ferrari è tra gli animatori fondamentali di quell’impegno che ha portato a decuplicare in un anno il numero dei detenuti che oggi lavorano dentro e fuori il carcere, in diverse attività.
«Abbiano mediamente 275 detenuti, sui 160 previsti. Non tutti hanno i titoli per poter accedere al lavoro, il 66% è straniero, ma sono oltre 90 quelli che nell’ultimo anno hanno trovato una collocazione lavorativa: e non è finita», spiega Ferrari, «ci siamo mossi secondo tre direttrici, di grande richiamo a Venezia e hanno risposto associazioni, amministrazioni, imprese: il settore dell’edilizia, della ristorazione-alberghiero, e abbiamo creato una formazione nell’archivistica digitale. Un beneficio per loro e per la società, col crollo della recidiva».
Altre novità le annuncia il patriarca Francesco Moraglia, al termine della benedizione per San Basilide, patrono della Polizia penitenziaria: «Presto avremo detenuti che lavoreranno in Basilica ai servizi per i turisti. Ringrazio tutti coloro che lavorano perché il carcere sia un luogo umano e di crescita. La Chiesa farà la sua parte: una goccia, ma tante gocce fanno il mare».
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