Uomini violenti, boom di casi: ma i fondi bloccati da due anni

Sono 63 i nuovi accessi al Centro di Marghera: l’anno scorso erano solo 18. La rete coinvolge servizi e reparti ospedalieri: «Così aiutiamo le vittime di violenza»

Maria Ducoli
Esterno del distretto sanitario di Marghera in via Tommaseo 6
Esterno del distretto sanitario di Marghera in via Tommaseo 6

Arrivano inviati dall’autorità giudiziaria, dopo aver ricevuto un ammonimento del Questore, oppure di propria iniziativa, avendo capito di aver un problema. Bussano alla porta del Gruppo responsabilità uomini dell’Usl 3 e della cooperativa Iside, al distretto sociosanitario di via Tommaseo, a Marghera, per avviare un percorso per riconoscere e abbandonare i loro schemi violenti nei confronti delle partner. Se nel 2024 i nuovi contatti da parte degli uomini erano stati 18, nel 2025 le nuove richieste sono schizzate a 63.

«Un aumento importante, anche degli arrivi su base spontanea», spiega Daniela Tardivo, psicologa responsabile dei consultori dei distretti 1 e 2. L’ambulatorio apre due giorni alla settimana e propone agli uomini maltrattanti un percorso di sostegno, spesso previsto proprio dai giudici. «C’è tanta recidiva», aggiunge l’esperta, «spesso un uomo che maltratta può essere anche allontanato dalla casa, ma poi raggiunge comunque l’obiettivo che si è prefissato». Per questo, il bisogno di interventi e di finanziamenti è quanto mai attuale. «Il Centro viene finanziato dalla Regione, ma nel 2024 e nel 2025 i fondi sono rimasti bloccati, perciò abbiamo chiesto un sostegno ai sindaci del territorio», fa sapere Tardivo.

Il Centro per uomini violenti rientra in una rete più ampia dell’Usl 3 che coinvolge il Pronto soccorso, spesso il primo punto a cui si rivolgono le donne vittime di violenza, poi i reparti di Ginecologia, che entrano in gioco nei casi di violenze sessuali e i consultori. Realtà diverse, professionalità diverse, tutte con un solo obiettivo: aiutare le donne vittime. La rete “Aiuto donna”, tra l’altro, è tutta al femminile: psicologhe, assistenti sociali, dottoresse, ginecologhe, infermiere. Che inforcano occhiali speciali, le lenti di genere: per guardare meglio, dare un nome alle cose perché solo categorizzando si possono prima gestire e poi superare. Nel mentre, stare. Tenere l’albero nel vento, fare rete. «Da soli non si va da nessuna parte», commenta Anna Fiore, responsabile dei consultori dei distretti 3 e 4 e coordinatrice del tavolo di lavoro sul Piano di zona, «lo dobbiamo fare per tutte quelle donne che hanno perso la vita e per quelle che sono in situazioni di pericolo e potrebbero perderla da un momento all’altro», aggiunge.

La primaria del Pronto soccorso di Mestre, Maria Rosada, spiega che «Le donne continuano a presentarsi nei reparti di Emergenza-urgenza, spesso la prima frontiera per intercettarle».

Tra il Pronto soccorso e il centro antiviolenza è stato inserito anche un passaggio intermedio, il Pronto intervento sociale del Comune, con cui la donna può essere messa in contatto. «Il triagista che intercetta un possibile caso di violenza di genere, propone alla paziente il colloquio con l’operatore, che la donna può rifiutare».

Circa il 35% dice di no, spesso perché sono già in contatto con il Cav. Altre volte, però, alla base del rifiuto c’è la paura. Dei circa 130 casi annui che passano dal Pronto soccorso, tra le 20 e le 25 donne ricevono protezione nella sala dell’Osservazione breve intensiva, che solitamente è dedicata ai pazienti le cui condizioni cliniche devono essere monitorate. Per le donne, diventano veri e propri rifugi. —

 

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