Un tempo elegante boulevard sospeso tra passato e futuro

Da quartiere dei ferrovieri a piazza di prostituzione ed ora di spaccio. L’eroica resistenza delle attività storiche. L’attesa di una piazza quale baricentro civile e sociale 

IL RACCONTO



Come tutte le zone vicine alle stazioni ferroviarie, il quartiere attorno a via Piave convive con problemi importanti ed è per questo un quartiere sentinella. Dagli anni Novanta, con l’avvento dei primi grandi centri commerciali, inizia la crisi del commercio di vicinato. Inizia pure l’esodo di residenti che vanno a vivere nei Comuni di prima cintura. Gli anni Novanta sono anche quelli delle emergenze sociali: si muore di eroina e le prostitute aumentano: alle storiche italiane si sostituiscono le straniere, all’inizio le albanesi e le ragazze dell’Est. Dopo arriveranno le nigeriane. La prostituzione finisce con lo svolgersi sotto le case e, dopo proteste e cortei dei residenti, arrivano gli interventi sulla viabilità delle laterali con i divieti di transito notturni che sono ancora oggi in vigore. Da quei primi interventi prenderà poi vita il progetto Città e prostituzione, con i servizi sociali e le forze dell’ordine alleati contro la tratta di donne.

Il ruolo di piazza di smercio di droga del quartiere Piave arriva dopo la chiusura di via Anelli a Padova. In tutti questi anni è mutato tutto il centro: i vecchi appartamenti anni Sessanta, senza riqualificazione, diventano la casa dei nuovi residenti, gli immigrati stranieri. Negozi e bar vengono venduti ad imprenditori cinesi, arrivati con le valigie piene di soldi. Poi arrivano i bangladesi. I locali vendono, annusando l’affare.

La città, disattenta, poi griderà allo scandalo ma il fenomeno si è esteso a tutte le periferie. Via Piave ha anche una faccia interessante. Qui un anno fa sono state suonate le campane a festa dopo la maxi retata antidroga in via Monte San Michele. La chiesa è la stessa che custodisce l’ossario dei morti vittime del bombardamento del 1944.

Qui si organizzano cene di quartiere; si aprono spazi per i cittadini gestiti da cittadini. Qui c’è il Pedibus: i bimbi vanno a scuola in gruppo, a piedi, scortati da genitori e nonni. Qui i cittadini si prendono cura del parco Piraghetto. Qui resistono attività commerciali storiche: dalla casa della Pipa alla coltelleria, fino al compianto Storey dove si trovava tutto quello che arrivava dall’estero, prima di Amazon. Resiste il cinema Dante, piccola sala d’essai di via Sernaglia. Resistono le villette della vecchia Mestre, sopravvissute agli interventi speculativi degli anni Duemila.

Oggi ci sono giovani coppie che cercano casa nelle case dei ferrovieri, e i residenti della zona sognano un futuro di riqualificazione: magari usando la street art, con meno traffico e un rilancio dei giardini fronte strada. In via Piave convive una attività centenaria come quella dell’hotel Bologna della famiglia Tura vicino al nuovo ostello Anda del Plaza che ha aperto ponendosi l’obiettivo di far dialogare turisti e residenti. E proprio i giovani turisti con i trolley, ospiti di alberghi e B&b della zona, sono visti anche come una risorsa e non come un “corpo estraneo” come nella vicina via Ca’ Marcello.

Ma servono azioni: leggendo la “storia di Mestre” di Sergio Barizza, si capisce che fondamentale è, anche, una vera piazza. Quella sognata fin dal 1930, nel Manifesto della Mestre futura, per il primo piano regolatore. E rimasta una incompiuta. Nel 2013 i residenti chiesero invano al Comune di comperare le ex lavanderie della Finanza, usate come parcheggio, per farne una piazza. Quella mancanza pesa. La ottocentesca stazione, per decenni bollata come “la più brutta d’Italia”, oggi è snodo fondamentale del Veneto e al centro di investimenti di costruttori, privati e Ferrovie. Si pensa ad una riunificazione con una stazione ponte verso Marghera, che unisce due pezzi di città. Ma mancherà sempre una vera piazza. —





Riproduzione riservata © La Nuova Venezia