«Un suicidio inspiegabile ora sopravvivo per lui»

San Donà. A dieci giorni dalla morte di Enrico Gaggion, parla mamma Emanuela «Io ci sono sempre stata, ora il vuoto. Quanta solidarietà da tanta gente: grazie»
Di Giuseppina Piovesana

Dieci giorni dopo la tragica morte di Enrico Gaggion, la sua mamma Emanuela Paro, trova la forza per ricordare pubblicamente il figlio che si è tolto la vita e che non c’è più e per ringraziare quanti, standole vicini, la stanno aiutando a sopravvivere. «Il mio ragazzo è sempre con me», dice, «Voglio che tutti sappiano che la sua mamma c’era, c’è e ci sarà per sempre».

Enrico Gaggion si è tolto la vita nella sua camera nella casa a Levada, dove abitava con il padre. Aveva 18 anni, stava attraversando la difficile fase dell’adolescenza. Frequentava l’ultimo anno dell’Itis “Volterra” di San Donà. Era tornato in classe dopo alcuni giorni di assenza dovuti forse al suo “male di vivere”, che attanaglia tanti giovani oggi.

«Enrico è sempre con me», racconta mamma Emanuela, «Guardo le foto, Enrico mi dà segnali della sua presenza. I suoi amici e i compagni di scuola mi hanno portato una busta piena di messaggi, di biglietti, di testimonianze. Non uso i social, non sono su Facebook. In questo modo voglio dire grazie ai professori, ai dirigenti della scuola, agli amici di Enrico che ogni giorno vengono a trovarmi, al sindaco di Ponte di Piave, Paola Roma. Ho ricevuto tanta solidarietà: grazie a tutti».

Enrico, durante il periodo scolastico, viveva a Levada con il padre e da lì andava a scuola a San Donà: «È stata una scelta che abbiamo condiviso», aggiunge la mamma, «per motivi di praticità. Con Enrico avevamo scelto un appartamento a Jesolo dove io lavoro. Mi aveva detto: “Starò qui”. Ci si sentiva tutti i giorni. Lunedì sera, la sera prima della tragedia, mi aveva mandato il solito messaggino. Gli ho risposto: “Ciao amore”. Conservo ora tutti i suoi messaggi nel telefonino, sono parte della sua presenza».

Enrico, tifoso della Juve, aveva un gruppo di amici affiatati che ora sono sconvolti dal dolore. «Mi hanno portato i loro messaggi», prosegue la mamma, «Fino alle 20 della sera prima, non avevo avuto alcun segnale che qualcosa non andasse. Ma ci sono troppe domande alle quali non avrò risposta. Avevamo già fissato un appuntamento per la settimana per uscire insieme, anche con il suo papà». «Dopo la nascita della sorella», ricorda ancora Emanuela, «Abbiamo cercato di avere un altro bimbo: ho atteso Enrico per dodici anni. È cresciuto bene, tranquillo, con la testa sulle spalle, mi somigliava. Mi aveva regalato un tatuaggio che ho sul braccio, sul quale c’è scritto “love”. Quello che è accaduto per me è inspiegabile. Ora devo portare avanti la missione di ricordarlo». Enrico riposa nel cimitero di Ponte di Piave.

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