Un ristorante africano per far nascere speranze

Lo aprirà in calle Lunga San Barnaba l’imprenditore afghano Hamed Ahmadi. Verranno assunti a rotazione migranti provenienti dai vari Centri di accoglienza
Hamed Ahmadi, a Destra, con Sara Grimaldi e gli altri collaboratori (foto Gianluca Vassallo)
Hamed Ahmadi, a Destra, con Sara Grimaldi e gli altri collaboratori (foto Gianluca Vassallo)

VENEZIA. Ci voleva chi ha provato il viaggio della speranza sulla propria pelle per mostrare l’altro volto dei migranti, quello che a causa di insulti, strumentalizzazioni e frasi fatte non riesce mai a trovare spazio. A Natale è in arrivo un grande dono. Si chiama «Africa Experience» e sorgerà in calle Lunga San Barnaba, vicino a Campo Santa Margherita a Dorsoduro. Ha i colori della Somalia e del Ghana e il cuore pieno della speranza che ha portato migliaia di persone a sfidare le onde per arrivare a Lampedusa.

Si tratta di un ristorante africano, dove verranno serviti piatti africani da migranti che adesso sono nei centri di accoglienza di Venezia. L’idea è venuta ad Hamed Ahmadi, regista e imprenditore afghano, arrivato in Italia per promuovere un suo film alla Mostra del Cinema dieci anni fa. Allora il suo film era stato duramente criticato dai talebani con pericolose minacce che portarono il ragazzo a fermarsi a Venezia e a conoscere da vicino i centri di accoglienza: «Possono esserci pregiudizi», spiega Hamed, «o incomprensioni linguistiche, ma il cibo aiuta a eliminare le barriere, quando si mangia insieme si crea subito un rapporto».

In effetti l’intuizione è già stata collaudata con l’Orient Experience a Cannaregio e a Santa Margherita, dove i due punti di ristoro hanno sempre più successo: «Ho conosciuto molti migranti durante l’emergenza NordAfrica», spiega Ahmadi che, con la fidanzata Sarah Grimaldi, Alì Khan, Alì Adriano, Mohammad Dallas, Hadi e Mandana, sta ultimando i lavori del loca, «e mi sono accorto che il loro viaggio era uguale al nostro. Anche loro partono senza nulla e sono costretti a fermarsi in alcuni posti per mettere da parte i soldi. Per risparmiare si cucinano i cibi da soli, creando dei nuovi piatti, un misto tra quelli del proprio Paese d’origine e quello in cui ci si trova. Noi offriamo a chi viene a cenare qui l’esperienza di quel viaggio perché il cibo in questo modo diventa un racconto». Il locale è quasi pronto.

È grande 120 metri quadrati e l’obiettivo è inserire molte donne: «Siamo in contatto con i centri di accoglienza», prosegue Ahmadi, «per la selezione del personale (una ventina, ndr) ci sarà una grande festa con una sorta di Masterchef africano dove noi dell’Orient Experience, gli operatori dei centri e speriamo anche gli istituti alberghieri, faranno da giuria». L’idea è quella di assumere a rotazione: «Spesso», osserva Ahmadi, «chi arriva è spaesato e deve tornare autonomo. Lavorando impara un mestiere e l’italiano, fa amicizia con altre persone e socializza. Quello che mi ha colpito dei ragazzi africani che ho conosciuto è stata infatti la speranza, quella che li rende capaci di superare l’orrore in cui vivono».

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