«Un doppio concorso pilotato modificate le date delle prove»

VENEZIA. Nell’inchiesta della Procura di Catania che ha denunciato un frenetico susseguirsi di accordi e raggiri per assegnare cattedre ad allievi ed amici del rettore di turno - tanto che l’indagine della Digos è stata chiamata “Università bandita” - è rimasto coinvolto anche il docente cafoscarino Agostino Cortesi, padovano, dal 2002 ordinario presso il Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica di Ca’ Foscari. Come per gli altri componenti della commissione di un doppio concorso effettuato dall’ateneo catanese nel febbraio 2018, anche il docente veneziano - che si professa «Assolutamente sereno» - si ritrova ora accusato di corruzione in concorso.
Le intercettazioni agli atti dell’accusa raccontano dei tanti accordi intercorsi tra il rettore dell’università di Catania Francesco Basile e altri docenti dell’ateneo catanese per promuovere l’allievo dell’uno piuttosto che quello dell’altro, in un crescendo di senso di impunità: a finire sotto la lente dei magistrati siciliani è così finito - tra i tanti - anche il doppio concorso del Dipartimento di Matematica e Informatica del febbraio 2018, nella cui commissione è stato chiamato a far parte come membro esterno proprio il professore veneziano, mai tirato in ballo nelle intercettazioni. Concorsi presieduti dal professor Pappalardo che - secondo l’accusa - avrebbe modificato le date delle prove, sostanzialmente per assicurarsi la promozione del proprio allievo Fabrizio Messina e garantire quella del pupillo del rettore Christian Napoli, senza rischiare di metterli l’uno contro l’altro nella stessa selezione. Per la Procura catanese, Cortesi e il collega romano Luigi Mancini avrebbero aderito «all’accordo criminoso raggiunto tra Basile e Pappalardo, consentendo l’utile collocazione in graduatoria, nei due concorsi, di Messina e Napoli». Sin qui l’accusa.
«Sono assolutamente sereno», racconta Agostino Cortesi, «posso assicurare che si è trattato di concorsi nei quali si è proceduto con un dettaglio molto scrupoloso nella valutazione di titoli e pubblicazioni, anche perché il presidente Pappalardo aveva segnalato il possibile rischio di ricorsi e per questo si erano rivolti a me e al collega commissario romano Mancini, in quanto esterni, titolati e in grado di dare un giudizio non legato a combine. Non conoscevo affatto i candidati: la nostra è stata una valutazione esclusivamente dei titoli, sulla base dei quali è stata fatta la scrematura per l’esame orale. Il livello dei candidati era buono e non ho subito alcuna interferenza esterna rispetto alla valutazione. Se qualcosa di losco è successo non è stato in quell’occasione. La mia impressione è che trovando riscontri in altri concorsi, poi tutti siano finiti sotto verifica».
Nello specifico agli atti ci sono intercettazioni nelle quali il rettore Basile si prodiga per l’assunzione di Napoli, dice di aver «messo in riga» il capo dipartimento Gallo: «Gli dirò è così e basta». Questi si sfoga con la madre e del rettore dice: «...è un vecchio delinquente». Tant’è, il presidente di commissione Pappalardo dice a Basile che sarebbe difficile per lui scegliere tra Napoli e Messina e il concorso viene sdoppiato.
Nell’inchiesta anche il professore padovano Umberto Cillo, docente di Chirurgia generale all’Università di Padova, luminare dei trapianti, commissario d’esame a Catania: è accusato di falso materiale commesso da pubblico ufficiale e abuso d’ufficio. Nei verbali di un concorso, Cillo risulta collegato in via telematica con la commissione siciliana chiamata a definire i criteri di selezione dei candidati, quando invece - secondo gli investigatori - si trovava in sala operatoria. La Procura sostiene, inoltre, che con gli altri commissari si sia accordato per favorire la promozione del candidato protetto dal rettore Basile, pur non essendo il più qualificato. Ieri non siamo riusciti a contattare il professore Cillo per una replica. —
Roberta De Rossi
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