«Tutto cominciò con uno schiaffo ma dalla paura ci si può liberare»

VENEZIA. Serena, 45 anni, nome di fantasia, una cascata di capelli neri su un volto dolce, quando comincia a raccontare volta la testa di lato, come se guardasse lontano. «Se ne viene fuori, eccome, scrivetelo. Se non ti ammazzano prima». Serena ci è riuscita, si è liberata e oggi può raccontarlo. È scappata da un marito violento che ha denunciato. «Tutto è cominciato con uno schiaffo. Poi è passato agli sputi, agli spintoni, ai calci e pugni. Mai sul viso, però. Così quando uscivamo con gli amici ero sempre perfetta. E invece avevo braccia e gambe piene di lividi neri».
Serena oggi si è lasciata alle spalle tutta quella violenza e la paura; oggi è una donna sorridente, amata. «Leggo in questi giorni tanti inviti ad evitare gli uomini violenti, a non averci a che fare. A me sembra l’ennesima colpevolizzazione della donna. Perché questi uomini sono dei grandi manipolatori, non si presentano mai come dei violenti. Sono uomini affascinanti e carini, pronti a farti sentire importante, pronti al regalo e al baciamano. Solo che quando ti tengono in pugno, allora cominciano a prenderti di mira. Facendoti sentire inadeguata, sbagliata. E basta una parola detta con un tono diverso per scatenarli». Il primo segnale è la scenata, racconta la donna veneziana, che è anche una madre.
Ora, anni dopo la denuncia e un percorso personale di analisi, ha un nuovo compagno, un amore diverso, completamente diverso da quell’amore malato. «Sì il primo segnale è la scenata seguita da uno schiaffo. E ti senti dire che lo ha fatto per stress, che ha reagito male perché tu lo hai provocato. Se ne parli a qualcuno ti senti dire che racconti bugie perché è impossibile che lui si comporti così. E invece...».
Serena si fa seria: «Bisognerebbe fin dal primo schiaffo, prendere e andarsene. O farlo prima possibile. Invece, se ci sono figli di mezzo, tutto diventa difficile. Anche gli avvocati finiscono con lo sconsigliarti. Ma bisogna pensare a noi stesse, parlarne ai figli. Quante volte ho pensato che non ce l’avrei fatta. Da sola, senza una casa. Ma con un lavoro, i soldi diventano il problema minore. L’importante è andarsene. Tutte le paure, come quella di non riuscire a mantenersi, sono un alibi. Si vive un periodo difficilissimo, si ha paura di non essere capite, anche dai figli, ma bisogna farlo».
Un percorso che non si può fare senza aiuto, perché la solitudine è in agguato. «Lo ripeto, occorre trovare persone competenti che ci aiutino. E ci sono, per fortuna. Guardi: nella mia esperienza ho trovato donne e amiche che non aiutano, a cui tu racconti la verità e loro o non ci credono o giustificano le botte con lo stress. Invece bisogna rivolgersi a persone competenti, capaci di aiutare. Dall’avvocato al terapista con cui investire del tempo per lavorare su noi stesse. E non cercare subito un nuovo compagno ma stare per un periodo da sole. E poi quando si è pronte per un nuovo compagno, deve essere una persona completamente diversa, che ci accetta per quel che siamo e che non vuole pilotare le nostre vite».
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