Traffico di droga, tredici arresti La ’ndrangheta nel Veneziano

Solo Felice Maniero, a capo della banda della Riviera del Brenta, trattava affari alla pari con i boss di Cosa Nostra e della Camorra e quando i carabinieri del Reparto operativo speciale (Ros) di Padova hanno ascoltato le telefonate tra Luigi Biancato di Camponogara, che nel frattempo è deceduto nel 2011 a 56 anni per malattia, hanno capito che c’era chi, a più di dieci anni di distanza da «Faccia d’Angelo», poteva telefonare al milanese Pasquale Sarcina, elemento di spicco della ’ndrangheta nel capoluogo lombardo tanto da essere stato arrestato dal pubblico ministero Ilda Bocassini nell’ambito dell’operazione «Crimine» e già condannato a dieci anni per associazione di stampo mafioso. Chiamata intercettata in cui Biancato, fratello dell’arrestato Prosdocimo, piuttosto seccato impone ai calabresi trapiantati a Milano di venire a ritirare in Veneto (la droga in un capannone della zona industriale di Padova) 300 chili di hascish di qualità scadente. E Sarcina chiama subito i suoi referenti, a cominciare dal calabrese Salvatore Larosa, sistemato in Costa Azzurra a Mentone da dove dirige le triangolazioni di droga tra Spagna, Francia e Italia, e gli spiega che Biancato è davvero arrabbiato e che quei 300 chili vanno sostituiti.
È una delle scoperte dell’operazione «Zefiro» dei carabinieri del Ros e di quelli veneziani, coordinata dal pubblico ministero antimafia Rita Ugolini: tredici gli arrestati ed altri tre sono stati raggiunti dall’obbligo di dimora, per la maggior parte si tratta di calabresi trapiantati in Veneto e Lombardia e di veneti, alcuni dei quali con precedenti per droga o rapine. L’altra scoperta inquietante, oltre a quella che tra le pieghe della criminalità straniera nel Veneto è cresciuta anche un’autorevole banda autoctona, è che la ’ndrangheta, dopo Verona, sta mettendo radici anche in provincia di Venezia, Padova e Treviso. Sono le cosche jonico reggine dei Nirta e degli Strangio, gli stessi della strage di Duisburg in Germania. Era Vincenzo Sorace, calabrese trapiantato da anni a Silea, l’elemento di contatto tra i veneti che acquistavano enormi quantità di sostanza stupefacente (in Spagna sono stati sequestrati 700 chili di hashish che dovevano passare in Italia attraverso la Francia via mare, poi ci sono altri gli altri 300 chili ritirati dal mercato per la scarsa qualità, infine due chili di cocaina come assaggio di una partita ben più consistente) e i calabresi della famiglia che comandava a Milano. Sorace utilizzava un nome di copertura, Rocco Barile, con il quale nella Marca avrebbe messo a segno numerose truffe con assegni scoperti.
Le indagini dei carabinieri veneziani, partite dagli spacciatori veneti, hanno messo poi in moto quelli del Ros di Padova, che in collegamento con le autorità di polizia francesi e spagnole hanno bloccato una banda che trasferiva in Italia consistenti partire di droga soprattutto via mare. Grazie alle segnalazioni degli investigatori italiani, gli spagnoli hanno bloccato un potente motoscafo che trasportava i 700 chili di hashish: era partito da Orano, in Marocco e avrebbe dovuto raggiungere Mentone per poi fermarsi a Sanremo a scaricare. Ma i carabinieri monitoravano l’imbarcazione dal momento in cui il motoscafo è stato acquisito: a richiederlo è stato il calabrese Mauro Lecci, residente a Bercellona ed elemento di raccordo della ’ndrangheta e arrestato in Spagna. Lecci l’aveva acquistato a Bar, porto del Montenegro (in Adriatico) centro di traffici criminali con la Puglia, e trasferito con un tir a Bari, quindi trasferito a Sanremo attraverso le autostrade italiane. Messo in acqua nel centro balneare ligure aveva raggiunto Orano, in Marocco, per poi risalire la costa spagnola dove è stato bloccato. Nelle lunghe tratte anche l’equipaggio sarebbe cambiato più volte: i componenti via via erano stati italiani, marocchini e russi. Con il calabrese Larosa, sistemato in Costa Azzurra, era in contatto anche il palermitano trapiantato a Milano Mauro Dall’Oglio che si sarebbe rifornito di droga per conto della famiglia di Cosa Nostra Fidanzati, al cui vertice ora c’è il «giovane» Guglielmo, figlio di uno dei fratelli che avevano trasferito l’area di azione della cosca palermitana in Lombardia e che rifornivano la banda di Maniero 20 anni fa.
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