«Ti vengo a casa con il bazuka» Le minacce che hanno svelato il mercato milionario di droga

Dalla denuncia di un imprenditore, le indagini “a ritroso” della Mobile Il gip: associazione di cittadini albanesi dedita all’illecito guadagno 

l’ordinanza

«Vara che vegno casa tua col bazuka», diceva il cartello che Marco Voltolina si era trovato appeso sulla porta del negozio. Poi, l’aggressione sotto casa: «....dammi i soldi che avanzo, altrimenti sai cosa succede....altro che sputarti, io ti ammazzo». Quindi, il pestaggio.

Alla fine del 2018 si era trovato all’angolo, l’imprenditore veneziano Matteo Voltolina, conosciuto anche per la sua storia d’amore (finita) nata tra i troni della trasmissione Uomini e Donne, vittima della droga e circondato dai debiti.

Chi lo minacciava - una coppia di pusher veneziani ora accusati dalla Procura di estorsione e spaccio - voleva gli 80 mila euro per i 6 etti di cocaina che, sostenevano, gli avevano venduto. Stesse accuse per altri due spacciatori mestrini, che rivendicavano 7 mila euro, minacciandolo a voce e via whatsapp: «....e come già fatto fuori qualcuno a Napoli ti faccio anche a te se non mi dai i soldi in una settimana....Se sapessi chi sta dietro di me non dormirai mai....muoviti altrimenti tu e lei booom».

Esasperato, Voltolina aveva deciso di chiedere aiuto e si era rivolto alla Polizia. Parte offesa in questa vicenda, Voltolina - che aveva cambiato vita e con la droga aveva smesso - è stato trovato esanime in una camera d’albergo a Mestre, nel 2020, ucciso da un malore.

Ma è proprio indagando sulle minacce all’imprenditore, che è iniziata l’indagine “a ritroso” della Squadra Mobile di Venezia – coordinata dalla pubblico ministero Alessia Tavarnesi – che tra pedinamenti e intercettazioni, ha portato alla scoperta di quella che il giudice per le indagini preliminari Massimo Vicinanza ha definito, nell’ordinanza che ha fatto scattare 13 arresti, «la fitta relazione esistente a Venezia e anche in altre province, tra cittadini albanesi interessati tutti all’acquisto, detenzione e vendita di cocaina». Un grande affare milionario. «La loro dedizione all’illecito è stata sistematica e completa», scrive il gip, «e in assenza di intervento cautelare non saranno gli indagati a decidere spontaneamente di rinunciare a un guadagno rapido e significativo».

Un giro di almeno due chili di droga al mese. A gestirla, un’organizzazione criminale albanese per nazionalità, con residenza a Mestre e Marghera e per clienti il mercato veneziano. Al vertice – secondo l’accusa – Kol Bushpepa, che trattava con i fornitori all’estero, fissava il prezzo, stabiliva le modalità di spaccio, incamerava i (milionari) profitti, che reinvestiva anche in B&b e attività turistiche. Suo vicario, Erjon Tusha «al centro di una fitta rete di relazioni costruite esclusivamente per il commercio della droga», accusato di smistare la cocaina ai pusher maggiori in conto vendita.

Quindi, i fratelli Erald e Severjan Tusha e il cugino Erjon «che si occupavano dello stoccaggio della droga, mettendo a completa disposizione l’appartamento di via Forte Marghera 229/f», dove lo stupefacente veniva preparato e custodito, messo sottovuoto con un’apposita apparecchiatura comprata per lo scopo.

Accusato di occuparsi dello stoccaggio della cocaina anche Salih Dauti, trasformando in deposito il suo appartamento in via Pisanelli 6 a Marghera, «pronta ad essere consegnata ad ogni richiesta» - accusa la Procura - al “secondo livello”: Gasper Maklaj, Shkelzen Meshi, Fatjon Caushai, pusher che acquistavano stabilmente da 100 ai 300 grammi di cocaina, da rivendere al “1 livello”, quello degli spacciatori di strada: «I cugini sono arrivati o no?», «Sono arrivati i ragazzi oggi?», si informavano con i vertici per sapere se poter fare acquisti. Tre per ora latitanti. Rientrati in Albania a Natale, lì sono rimasti per il lockdown covid che li ha (per ora) salvati dal carcere.



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