Tentate rapine agli orafi condannata la banda

VIGONOVO. Sono tutti considerati “figli” di Felice Maniero. Eredi della Mala del Brenta che tengono viva la “tradizione” con furti, rapine alle banche e assalti alle gioiellerie armati di mitragliatori AK47 e pistole Glock. Sei di loro, in manette nell’ambito dell’operazione “Mask” della polizia di Venezia nel maggio dello scorso anno, ieri sono finiti a processo a Vicenza davanti al giudice per l’udienza preliminare Massimo Gerace.
Si tratta di Costante e Marco Carraro, rispettivamente di 67 e 42 anni, il primo di Vigonovo e il secondo di Fossò; di Lino e Delfino Fincato, 48 anni il primo, 59 il secondo, entrambi di Codevigo; di Michele Gelain, 48 anni di Venezia, e di Francesco Martin, 39 anni di Codevigo. A vario titolo i componenti della banda erano accusati di rapina aggravata, detenzione di armi da guerra e armi comuni da sparo, furto aggravato e ricettazione. A Vicenza erano stati ritenuti responsabili di due assalti ad altrettante ditte orafe: la “Immagine Oro” e la gioielleria “Anna srl”. Il primo colpo era stato programmato nel febbraio dello scorso anno, l’altro alla fine di marzo.
Dei sei imputati, quattro hanno optato per il processo con rito abbreviato, due invece hanno scelto il patteggiamento. Solo uno, Lino Fincato, è stato assolto per non aver commesso il fatto. Condannati Costante Carraro, che dovrà scontare 3 anni di reclusione e pagare una multa di 500 euro; Marco Carraro, 3 anni e 6 mesi più una multa di 900 euro; 2 anni e 800 euro di multa per Michele Gelain. Gli altri hanno patteggiato: 4 anni e 4 mesi e 2.200 euro di multa per Delfino Fincato (pena a cui si sommano i fatti di Vicenza, 1 anno e 600 euro di multa a quelli di un altro assalto in provincia di Rovigo); 2 anni e 600 euro di multa per Francesco Martin. Titolare dell’inchiesta, il sostituto procuratore veneziano Giorgio Gava.
Quella sgominata dalla polizia era una banda organizzatissima che per mettere a segno i colpi e sfuggire ai controlli aveva di tutto: mitragliatori, Kalashnikov, giubbotti antiproiettile, auto rubate, lampeggianti, palette e maschere in lattice. Da qui il nome all’operazione: “Mask”. Tra gli assalti non erano mancati anche quelli a Vicenza, due. Che però, in entrambi i casi, si erano conclusi in nulla di fatto. Il 19 febbraio 2014 era stato preso di mira il laboratorio orafo di via Zamenhof. Rapina mandata all’aria da un imprevisto: la presenza di una donna che stava andando al lavoro. Vedendo il commando pronto all’azione era fuggita facendo scappare anche gli stessi malviventi. Un altro colpo nemmeno iniziato è stato anche quello che doveva avere come bersaglio la gioielleria “Anna” lungo la Riviera Berica. Era tutto pronto, ma dopo aver notato un posto di blocco, i rapinatori avevano deciso di fare marcia indietro. Il rischio di essere catturati sarebbe stato troppo alto.
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