Telecamere nei reparti produttivi alla Niche Fusina Rolled Products, i lavoratori si rivolgono all’Ispettorato
Scontro all’ex Alcoa di Marghera. La lettera che chiede un intervento: «Violati i nostri diritti». La proprietà: «Controllano solo l’impianto in magazzino»

Sono in quasi ogni angolo della città perché da tempo abbiamo deciso di barattare un po’ della nostra privacy per una maggiore sicurezza, ma quando entrano nei luoghi di lavoro una maggiore cautela è d’obbligo: un conto è la sicurezza, un altro il controllo; o il timore di essere controllati dal datore di lavoro.
L’ultima bagarre sulle telecamere è scoppiata in fabbrica, alla Niche Fusina Rolled Products di Marghera (l’ex Alcoa), impresa con fonderia e laminatoio specializzata nella produzione di prodotti laminati in alluminio.
La lettera allo Spisal
Nei giorni scorsi l’azienda ha deciso di installare alcune telecamere. I lavoratori non ne sapevano nulla e hanno deciso di segnalare l’installazione all’ispettorato del lavoro. Lettera firmata dalle rappresentanze sindacali unite e dalle segreterie provinciali di Cisl-Fim, Cgil-Fiom e Uil-Uilm.
«Nei giorni scorsi i lavoratori e la Rsu hanno riscontrato la presenza di telecamere installate nei reparti produttivi dello stabilimento di Fusina, in aree in cui operano stabilmente e quotidianamente gli addetti alle lavorazioni. Gli impianti», si legge nella lettera arrivata all’Ispettorato del Lavoro, «risultano idonei a riprendere direttamente il personale durante l’attività lavorativa e sarebbero stati installati in assenza di qualsiasi accordo preventivo con la Rsu e senza autorizzazione da parte dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro».
Un passaggio obbligatorio per legge, previsto dall’articolo 4 dallo statuto dei lavoratori.
«Violazione dei diritti»
La norma prevede che l’azienda possa installare le telecamere solo a valle di un accordo sindacale - come sta avvenendo, per esempio, in Actv, per le telecamere nei vaporetti - o, in alternativa, con l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro. Ispettorato che, nelle aziende più grandi e dove c’è una rappresentanza sindacale, di solito invita le parti a trovare un’intesa.
«Inoltre, non è stata fornita alcuna informativa ai lavoratori circa l’attivazione delle telecamere», prosegue la lettera, «le finalità del trattamento dei dati o le modalità di utilizzo delle immagini, né risultano affissi i previsti cartelli informativi ai sensi della normativa in materia di privacy».
Un comportamento che, per i lavoratori, «è in palese violazione della normativa vigente e lesivo dei diritti fondamentali dei lavoratori, a partire dal controllo a distanza della prestazione lavorativa alla dignità e alla riservatezza del lavoratore sul luogo di lavoro». Da qui la richiesta di un urgente intervento ispettivo presso lo stabilimento di Fusina, volto ad accertare i fatti e a verificare la legittimità dell’installazione e dell’utilizzo degli impianti di videosorveglianza».
La posizione dell’azienda
L’azienda rispedisce al mittente le critiche, sostenendo che non ci sia alcuna volontà di controllare i lavoratori.
«Le telecamere sono state installate nella zona del magazzino», replica infatti l’amministratore delegato dell’azienda, Vincenzo Zinni, manager italiano con formazione inglese, «non c’è nessuna volontà di controllare i lavoratori. Le telecamere, che neppure registrano, sono state installate solo per controllare il nuovo impianto, momentaneamente sistemato lì in attesa della sua sistemazione definitiva, entro la fine dell’anno».
Zinni ricorda di aver garantito all’azienda 20 milioni di investimenti negli ultimi tre anni. «Sono sempre in azienda, il mio impegno è totale», prosegue Zinni, «l’installazione delle telecamere non danneggia nessuno».
Ma se davvero è così - si chiedono i lavoratori - perché non comunicarlo e spiegarlo ufficialmente ai rappresentanti dei lavoratori? Spetterà all’ispettorato, con una probabile prossima ispezione, dire se l’installazione delle telecamere sia legittima o meno. In passato, in casi simili, i tecnici dell’ispettorato hanno obbligato i proprietari a spegnere e a coprire le telecamere in assenza di un accordo sindacale, intesa raggiunta (per questioni di sicurezza) in varie altre realtà industriali del Veneziano. —
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia








