Stretta sulle aperture domenicali le commesse: «Sì a nuove regole»

Fa discutere la proposta del sottosegretario di lavorare solo 12 festività all’anno L’ad di Despar: «Dosare l’alternanza, si rischia di dover lasciare a casa le persone» 
COLUCCI - DINO TOMMASELLA - NOVENTA - PROTESTA COMMESSE PER APERTURE DOMENCIALI
COLUCCI - DINO TOMMASELLA - NOVENTA - PROTESTA COMMESSE PER APERTURE DOMENCIALI



I piccoli negozianti che in questi anni hanno fatto i salti mortali pur di aprire domenica e feste comandate per tenersi al passo con la legge sulle aperture, tirano un sospiro di sollievo, i colossi della grande distribuzione gridano alla perdita dei posti di lavoro.

La stretta ipotizzata del governo Di Maio al lavoro festivo sta mettendo in discussione equilibri oramai dati per scontati, specialmente in un territorio ad alta concentrazione come quello della Città metropolitana di Venezia. Paul Klotz, presidente di Despar Italia, è critico: «L’alternanza è il principio più sano per garantire il servizio al cittadino e un tetto di aperture. Gli studi ci dicono che oramai la domenica è la seconda giornata in termini di importanza, ma non bisogna esagerare nel tenere tutti aperto, la nostra interpretazione delle aperture è quella di dosare il servizio al cittadino e il riposo dei dipendenti, ciò finora non ha creato tensioni nell’organico e ci ha consentito di inserire nuovi posti di lavoro. Senza le domeniche si dovrà tenere conto che ci saranno difficoltà, rimarranno a casa delle persone, il pericolo di dover ridurre l’organico c’è. Speriamo che il Governo trovi un compromesso chiudendo alcune festività, ma senza toccare le domeniche. In ogni caso ci dev’essere una regola nazionale uguale per tutti». La proposta, tuttavia, salvaguarda le città turistiche. «Mi domando quali siano. Abano? Padova? Jesolo in estate o in inverno? È un argomento che va approfondito e che forse conviene studiare con calma. Viene stigmatizzato il venditore di tonno, ma i ristoranti? Le funivie? I musei? Le persone che lavorano di domenica hanno una maggiorazione di stipendio e lavorano su base volontaria».

Di tutt’altro avviso Tiziana D’Andrea, leader di Domenica No Grazie: «Trovo esilarante che le grandi catene dicano che si perderanno posti di lavoro. Non si perderà alcun posto, al contrario li tuteliamo: i dati mostrano che non è stato assunto nessuno, queste aperture sono solo un costo per la piccola e media impresa, le catene hanno aperto casse automatiche e i piccoli negozi chiudono. Ben venga la stretta, ben venga la regolamentazione che tuteli i posti che ci sono. Che si dia alle regioni il potere di decidere è logico, perché non tutte le regioni hanno la stessa concentrazione di centri commerciali».

«Mi auguro che ci sia l’intelligenza di capire qual è il futuro verso il quale andiamo», ha commentato Francesco Canella (patron di Alì). Plaude invece alla proposta Mino Carrer, direttore della Sme, che la domenica, per scelta, tiene chiuso: «La grande distribuzione perderà piccole quote di mercato, ma ci uniformeremo agli altri stati d’Europa. Oggi i piccoli non sono in grado di aprire e chi si trova all’interno dei centri commerciali ed è obbligato a tenere aperto, non ce la fa. I nostri lavoratori devono avere la loro vita sociale e famigliare e nessun interesse deve prevalere, altrimenti sottostiamo sempre alle volontà di chi non si fa scrupoli per acquisire quote di mercato che hanno creato i presupposti per svuotare i negozi dal lunedì al venerdì. Si perderanno 400 mila posti? No se ne perderanno di più con la liberalizzazione, i consumi non ne risentiranno». —



Riproduzione riservata © La Nuova Venezia