Storie di uomini e cose Le vite (vere) degli altri

di Marco Contino
Le vite degli altri. Si potrebbe riassumere così, con il titolo di un film, la terza giornata della Mostra del Cinema di Venezia. Con una peculiarità sostanziale: il racconto biografico non riguarda più solo uomini e donne in carne e ossa realmente esistiti, come il gangster Jimmy “Whitey” Bulger protagonista di “Black mass” o la cantante stonata di “Marguerite”, liberamente ispirata alla vicenda dell’ereditiera americana Florence Foster Jenkins, divenuta famosa tra il 1920 e il 1944 non per le sue virtù canore ma per la sua incapacità di cantare. Anche le “cose” vivono di vita propria, respirano, si muovono e, per questo, rivendicano una loro dignità cinematografica che merita di essere raccontata.
Così, due grandi maestri del cinema come Alexander Sokurov e Frederick Wiseman dedicano, rispettivamente, al museo del Louvre e a un quartiere del Queens, i loro lungometraggi - “Francofonia” e “In Jackson Heights” - come se l’uno e l’altro avessero una personalità autonoma, un proprio carattere, una biografia da ispirare. Due luoghi nei quali si specchia l’esistenza e i suoi più grandi temi: da una parte, il destino dell’arte, della Storia e, quindi, dell’uomo, l’identità dell’Europa e l’incubo di una umanità in balia della tempesta; dall’altra, la vitalità di un crocevia di culture, lingue e religioni che si alimenta di giorno in giorno nelle strade alla periferia di New York dove vivono immigrati provenienti da Sud America, Messico, Bangladesh, Pakistan, Afghanistan, India e Cina.
Al Festival, insomma, va in scena la vita in tutte le sue forme e implicazioni: quella che si inabissa negli isolati sporchi e criminali di South Boston e riemerge negli opulenti ambienti aristocratici francesi degli anni ruggenti, striscia nei corridoi del museo parigino e contempla il confine sottile tra la volontà degli abitanti di Jackson Heights di rimanere legati alle tradizioni e la necessità di adattamento allo stile di vita americano.
Ma soprattutto, tra la vita criminale di Bulger/Depp e quella surreale di Marguerite Dumont si fa strada, in “Francofonia”, l’angoscia della possibile perdita di un patrimonio di bellezza e sapere per mano della Storia scritta dalle guerre e, quindi, lo svuotamento di quella stessa vita che oggi il cinema ha l’ambizione di raccontare.
Un messaggio che Sokurov ribadisce anche in conferenza stampa, osservando come la guerra e la storia non abbiano insegnato nulla: «Le idee più belle e quelle più orribili vengono dall'Europa che ormai è alla deriva. E questa civiltà ha accumulato errori su errori - basti pensare oggi alla Crimea e all'Ucraina - che hanno portato a una catastrofe morale, una vera tragedia». Uno smarrimento di identità che i politici non sono in grado di affrontare: «da loro» secondo il regista russo «non è possibile aspettarsi delle risposte. Non le sanno dare e forse non le hanno mai sapute dare».
Meglio affidarsi alle ombre e ai fantasmi che si agitano nel Louvre, come la Marianna nazionale che sussurra in ogni angolo la triade fondativa, i principi supremi della vita (sempre la vita) di ogni uomo: “Libertè, Ègalitè, Fraternitè”.
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