Slim Fusina, 30 milioni di debiti: l’azienda prepara gli esuberi

MESTRE. La Slim Fusina Rolling continua a bruciare cassa da anni. Accadeva anche quando c’era l’Alcoa, che però interveniva per ripianare il debito. E così, a guardare i conti, emerge che dal 2017, quando nella proprietà è subentrato il fondo tedesco Quantum, l’esposizione dell’azienda è cresciuto fino a circa 30 milioni – questa la cifra emersa nell’ultimo confronto al Mise – di cui 27 nei confronti dei fornitori (chi fornisce l’acciaio, le ditte esterne, le società di somministrazione lavoro) e altri 2,5 nei confronti di creditori privilegiati, leggi lo Stato. Nessuna esposizione, invece, nei confronti del sistema bancario, che però non è più disposto a concedere crediti.
Motivo per cui, come si dice in gergo, Slim Fusina non è più bancabile. Una situazione che, dopo aver ricevuto alcune istanze di pagamento, ha suggerito ai manager dell’azienda – produce alluminio laminato per industria off-shore, yacht, mega yacht e ferry boats – di presentare richiesta di concordato preventivo con riserva al tribunale di Venezia.
Una situazione che, in attesa della nomina di un commissario, congela i flussi finanziari dell’azienda, e ritarderà quindi anche il pagamento degli stipendi di agosto dato che di solito l’azienda paga il 10 del mese. I rappresentanti delle organizzazioni sindacali, non appena sarà noto il nome del commissario, chiederanno che il pagamento nei confronti dei lavoratori sia la prima voce a essere sbloccata.
«Non ci preoccupa tanto questa fase», spiega Stefano Boschini della Fim Cisl, «ma ci preoccupa la prospettiva di questa azienda, e che cosa accadrà nei prossimi mesi». Un futuro incerto per una delle poche grandi aziende di Porto Marghera rimaste, anche per via del fatto che Quantum, come ha spiegato nell’incontro dello scorso 3 settembre al Mise, non ha intenzione di mettere un euro in più per uscire da questa situazione.
Una premessa che non fa ben sperare. Una prima ipotesi di riorganizzazione dell’azienda prevedeva 70-80 esuberi rispetto ai 285 dipendenti diretti, cui bisogna aggiungere poi 100 lavoratori tra lavoratori a chiamata e addetti degli appalti esterni che però lavorano regolarmente nel sito.
«Una proposta assurda», sostiene Boschini, «perché garantire una produzione di almeno 65 mila tonnellate l’anno, il minimo per un’azienda di queste dimensioni, è impossibile con numeri così ridotti». Per conoscere i dettagli del piano di ristrutturazione bisognerà aspettare qualche giorno. Diego Panisson, della Uilm Uil, ieri è stato tra i lavoratori in mensa. «L’umore è pessimo, c’è sconforto», spiega, «ora, con la garanzia di un sostegno del ministero, serve un progetto industriale serio, che manca da troppo tempo, senza obiettivi speculativi».
Prima mossa, si diceva, lo sblocco degli stipendi per i lavoratori. «Speriamo che possa essere fatto presto», dice Michele Valentini, Fiom-Cigl, «poi decideremo insieme ai lavoratori quali iniziative intraprendere per salvare la fabbrica». —
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