Sette anni fa l’arresto di Mazzacurati che già allora diceva: «Fallito il sollevamento del Mose? Minimizzate»

Il 12 luglio 2013 la Finanza in casa dell’ingegnere con l’ordine di arresto per turbativa d’asta. Le dimissioni e la strategia della comunicazione Cvn: «La malattia e i lavori che vanno avanti». Il clima dei giorni precedenti  

VENEZIA. Il crollo dell’impero. Un monopolio che aveva dettato legge per anni, sotto la direzione unica del suo padre padrone, l’inventore del Mose e presidente d del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati. Esattamente sette anni fa, il 12 luglio del 2013, l’ingegnere che sembrava il padrone assoluto della salvaguardia veneziana veniva arrestato. «Ho qui in casa la Guardia di Finanza», comunica al suo avvocato e amico Alfredo Biagini al telefono alle 6 e mezzo del mattino. La bufera sta per arrivare.

L’anziano ingegnere non capisce la gravità di quelle carte che il tenente colonnello gli sta mostrando. «Turbativa d’asta» per fatti avvenuti tra il maggio e il giugno del 2011. Un reato che non ha molto a che fare con l’attività della concessione unica. Ma il Consorzio si occupava allora anche di scavo dei canali per l’Autorità portuale diretta da Paolo Costa.

Cinque mesi prima era finito in carcere anche Piergiorgio Baita, imprenditore e presidente della Mantovani, l’azionista di maggioranza del Consorzio. L’arresto (ai domiciliari) di Mazzacurati, porterà a un’indagine ampia. E un anno dopo, il 4 giugno del 2014, all’arresto di 43 persone. Fra cui il Governatore del Veneto Giancarlo Galan.

Sette anni fa. E sembra passato un secolo. L’arresto era nell’aria, dopo le dichiarazioni di Baita e le verifiche fiscali da tempo avviate dalla Guardia di Finanza.

Tanto che pochi giorni prima, a fine giugno di quello stesso anno, Mazzacurati decide di andarsene. La strategia è che le sue dimissioni sono causate solo da «motivi di salute». Ha subito un intervento di angioplastica a inizio giugno. «Adesso», dice, «i medici mi hanno consigliato di rallentare». La strategia è concordata a tavolino con i suoi fedelissimi.

L’addetta stampa Flavia Faccioli si occupa di convincere i giornalisti sul fatto che «non ci sono altre ragioni per le dimissioni». «Ci hanno creduto», commentano il giorno dopo. Mazzacurati è ancora potente. E nei giorni precedenti al suo arresto riceve i saluti e gli omaggi del mondo della politica veneziana. Ci sono (quasi) tutti: Costa, Brunetta, Baratta, Galan, Zaccariotto. La strategia concordata è quella di mostrare al mondo che i lavori del Mose vanno avanti.

E, ironia della sorte, proprio in quei giorni, il 21 giugno a Malamocco, durante uno dei test «la paratoia non va giù». Peggio ancora tre giorni dopo, il 24 giugno a Treporti. «Minimizzare» è la parola d’ordine del potente apparato comunicativo del Consorzio. Che intanto si rivolge a un superconsulente (l’ingegner Ezio Adami) per sapere i motivi del flop.

Il Consorzio in quei giorni è destinato a cambiare per sempre. Mazzacurati acconsente con scarso entusiasmo a indicare come suo successore Mauro Fabris, che ha già lavorato nel Consorzio Venezia Dinquinamento e anche a Venezia Nuova. Al posto di Mazzacurati viene nominato direttore generale Hermes Redi, altro fedelissimo dell’ingegnere. Un nuovo organismo dirigente che sarà spazzato via l’anno successivo dall’inchiesta sulla corruzione. Fabris non c’entra, ma l’Anac di Raffaele Cantone decide di mandare a governare il Consorzio, dove emergono irregolarità ogni giorno, due amministratori straordinari.

In quella settimana tra la fine di giugno e l’inizio di luglio del 2013 la percezione che l’impero sta crollando è grande. Mazzacurati, che ha avuto due mogli (sorelle) e sette figli, è molto preoccupato di come assicurare stabilità finanziaria alla famiglia. Chiede 7 milioni di euro di liquidazione («Forse ho chiesto troppo poco») si sfoga al telefono con una delle figlie.

Finisce un mondo, dove a comandare era soltanto lui. Così come a decidere dove finivano i tanti contributi e finanziamenti della Legge Speciale. Spese folli e anche gonfiate – come i sassi acquistati a peso d’oro – che poi saranno oggetto di molte indagini della Corte dei Conti.

L’arresto di Mazzacurati dura solo qualche mese. Poi, anche a seguito dell’ampia collaborazione offerta, l’ingegnere ottiene il passaporto per gli Stati Uniti, dove ha una casa a La Jolla, California. Lì è morto nel settembre scorso a 87 anni, portandosi dietro i suoi segreti. 


© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia