San Donà ricorda oggi gli ebrei messi al confino
SAN DONÀ. Giorno della Memoria, San Donà ricorda gli ebrei che furono messi al confino in riva al Piave e le famiglie che li salvarono dai lager. 73 anni fa, il 27 gennaio 1945, l’apertura dei cancelli di Auschwitz rivelò al mondo l’orrore degli internati, ebrei, ma anche cristiani, sia laici come sacerdoti che si opponevano al regime hitleriano, oppositori politici, rom, disabili, omosessuali. Quel 27 gennaio è stato proclamato dalle Nazioni Unite Giorno della Memoria delle vittime della Shoah. E San Donà ricorda i nomi, riemersi grazie agli studi della ricercatrice Morena Biason che ha scritto il libro “Un soffio di libertà – La Resistenza nel Basso Piave”.
«San Donà è stata l’unica località di “internamento” nel Veneziano per gli ebrei stranieri», ricorda il sindaco, Andrea Cereser, dopo le leggi razziali emanate dal fascismo nel 1938. Leggi che stabilirono che gli ebrei stranieri in Italia, all’epoca 9.170, dovessero essere espulsi. La norma non venne applicata e finirono internati, con lo scoppio della guerra, in località di confino.
Dagli elenchi redatti dalla Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea risultano i nominativi di 7 ebrei stranieri. Una famiglia croata composta da Silvio Papo, 56enne nel 1943, dalla moglie Buci Salom, 47 anni, e dal figlio Giuseppe, di 15 anni. 4 ebrei ungheresi, Max Blau, 43 anni, Francesco Grosz, 37, Janos Haberfield, 30 anni e Giulio Haberfield, 20. Alcuni di essi riuscirono a mettersi in salvo tra cui l’ungherese Max Blau che, nel 1946, scrisse da New York una lettera al sindaco dell’epoca esprimendo la sua gratitudine. In quei drammatici giorni Lucia Schiavinato nascose alcune donne ebree nel Piccolo Rifugio, e monsignor Luigi Saretta, su segnalazione del Patriarcato di Venezia altri ebrei in famiglie fidate. (g.ca.)
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