Rogo chimico alla 3V Sigma di Porto Marghera, quattro indagati

L’accusa è di incendio colposo e lesioni aggravate: sotto inchiesta tre dirigenti dell’industria e il titolare di una ditta esterna
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MARGHERA. Sono quattro le persone indagate per lo spaventoso rogo che a metà maggio ha distrutto la 3V Sigma di Porto Marghera, ustionando gravemente due operai di una ditta esterna e facendo scattare lo stato di allerta chimica per la densa nube nera che avvolse il cielo della città, ancora una volta salvata dalla perizia dei vigili del fuoco.

A finire sotto inchiesta per incendio colposo e lesioni aggravate sono, ora, il legale rappresentante della 3V Sigma, altri due dirigenti dell’industria ad alto rischio chimico di via Malcontenta 1, e il titolare dell’impresa esterna che si occupava della manutenzione (la General Montaggi Srl di Terni), tutti iscritti al registro degli indagati dal pubblico ministero Giovanni Gasparini.

L’atto è funzionale all’affidamento - da parte della Procura - di una consulenza tecnica che dovrà stabilire nel dettaglio le cause dell’incendio e del grave incidente sul lavoro: gli indagati potranno nominare propri consulenti. L’appuntamento per l’assegnazione dell’incarico è in agenda per martedì.

Erano da poco passate le 10 del 15 maggio - pochi giorni dopo la fine del lockdown - e tre operai della General Montaggi erano al lavoro all’interno del capannone serbatoi della 3V Sigma: circondati da migliaia di litri di prodotti chimici di ogni genere, stavano tagliando un tubo delle condotte. All’improvviso, fu l’inferno.

Il boato era stato potente e aveva fatto tremare la terra. Due dei tre operai vennero investiti dalle fiamme, ricoverati d’urgenza per le gravissime ustioni riportate.

L’incendio fu rapidamente alimentato dai prodotti chimici presenti nell’azienda, facendo scattare il piano di emergenza previsto dalla direttiva Seveso: pompieri in arrivo da tutto il Veneto riuscirono a contenere le fiamme, evitando l’esplosione a catena dei giganteschi serbatoi carichi di sostanze infiammabili e tossiche, accanto alla fabbrica. Dell’industria non è rimasto che lo scheletro e i 50 dipendenti sono ora in cassa integrazione.

I tecnici dell’Arpav conclusero per lo scampato pericolo pubblico. Ma il sito risultò altamente inquinato, con presenza di acetone 400 volte superiore ai limiti. Le acque di dilavamento avevano anche raggiunto il canale, provocando una moria di pesci.

Le operazioni di bonifica da parte dei vigili del fuoco sono durate un mese: ora, gli esperti della Procura (e delle parti) potranno fare il loro sopralluogo. Due le domande alle quali dovranno rispodnere: cosa abbia determinato l’esplosione e perché non ha funzionato il sistema antincendio interno.



 

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