Rapito e disoccupato Salviato chiede aiuto «ma non allo Stato»

MARTELLAGO. Scorrono le immagini di quanto sta accadendo in Libia. Le notizie di questi giorni sono drammatiche: l’uccisione dei tecnici italiani rapiti, ovvero Salvatore Failla e Fausto Piano. Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, gli altri due in mano ai criminali, sono riusciti a scappare e hanno fatto rientro a casa. In queste scene si è rivisto pure Luca Salviato, il 49enne tecnico di Martellago, ma residente con la moglie a Trebaseleghe, rapito il 22 marzo 2014 in Libia e rilasciato il 15 novembre dello stesso anno.
«Ti portano da mangiare ma se c’è da sparare non si fanno grossi problemi», dice Salviato, «e solo chi lo ha provato sa cosa significhino questi momenti. Speravo che tutti tornassero a casa, è stato pesante davvero vedere quelle immagini. Mi metto nei panni pure delle famiglie, comprendo la loro rabbia per aver perso due uomini». Ormai sono quasi 16 mesi da quando il tecnico ha fatto ritorno a Trebaseleghe e Martellago; ha provato a rifarsi una vita, ma ha capito quanto sia dura rientrare nel mondo del lavoro dopo essere stati licenziati. L’azienda friulana per cui operava ha scelto di abbandonare i progetti su Tobruk, città libica dove Salviato era stato rapito ed è stato messo alla porta. E con lui e altri 14 suoi colleghi, come riportato dal Mattino di Padova lo scorso novembre.
«Ma abbiamo deciso d’impugnare il provvedimento. Nei mesi scorsi ho vissuto con l’assegno di disoccupazione», racconta, «ora io e mia moglie dobbiamo farci bastare i soldi del suo lavoro part-time. Ma altre persone ci hanno aiutati. Nel frattempo sto cercando ovunque, mando via almeno 5-6 curriculum al giorno, ma mi sono reso conto che qui in Italia non c’è più spazio per me, alla mia età fatichi a trovare una collocazione. Per questo prendo in esame l’ipotesi di andare all’estero, in Paesi più sicuri del Nord Africa, è ovvio». Salviato non ha intenzione di chiedere aiuto allo Stato. «In fin dei conti ha fatto parecchio per me», continua, «e non domando la carità. Sarei disposto a fare ogni cosa pur di avere un lavoro, se poi dovessi trovare qualcosa nel mio ambito, tanto meglio».
Nel frattempo, lo scorso autunno ha pubblicato un libro dove racconta i suoi giorni in Libia. “Quel mattino sulla strada di Tobruk” è il titolo del libro, dedicato a Valeria Solesin, rimasta vittima delle raffiche di mitra dell’Isis il 13 novembre scorso al Bataclan di Parigi. In questi mesi lo sta promuovendo. Prossima tappa, venerdì 18 marzo alle 21 all’hotel Angi di Fossò.
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