Quei ritratti al naturale di Arici
Mai in posa, scatti durante un dialogo: così esce il letterato-uomo. In duecento immagini la storia della letteratura

Ernest Hemingway
VENEZIA.
Se le parole avessero corpo e i libri potessero respirare, allora avrebbero le forme e i colori dei ritratti di Graziano Arici. Non a caso infatti la nuova mostra del fotografo veneziano, allestita a palazzo Mangilli-Valmarana nella sede della Fondazione Claudio Buziol, è stata intitolata proprio «Il volto delle parole». Come spiega lo scrittore Roberto Ferrucci, Arici ha saputo vincere la ritrosia che molti scrittori provano davanti alla macchina fotografica. «Sono tanti gli scrittori schivi - scrive Ferrucci - dev’essere per via della solitudine in cui si svolge il nostro mestiere, e per il fatto che non è con il nostro corpo che ci esibiamo. Per questo, gli scrittori guardano spesso in cagnesco i fotografi. Non Graziano Arici, però. Basta vedere i ritratti esposti in questa mostra. Guardateli con attenzione e vi accorgerete di come ogni autore si senta alla fine a proprio agio».
Si tratta di una sintonia che fa di ogni incontro tra questo fotografo e gli scrittori un momento unico e speciale. «Sono sempre stato attratto dall’atto creativo - spiega Arici - fosse quello della scrittura o dell’arte. E’ come se io così carpissi il segreto di questo atto. Quando ho incontrato Borges, Garcìa Marquez e altri scrittori che per me erano dei miti, ho usato la macchina fotografica come un microscopio per capire il meccanismo che hanno dentro di loro e che li porta a creare». Aperta fino al 6 maggio con orario di visita 10-13/14-18 dal lunedì al venerdi, la mostra espone circa 200 foto databili tra il 1946 e il 2010, scattate da Arici stesso o provenienti dal suo vasto archivio (composto da ben 850.000 foto). Centinaia di visi, occhi, capelli e mani. Gesti, espressioni e sguardi diretti, veri e reali. Non c’è artificio, non c’è posa. Sono foto scattate durante chiacchierate, fatte in studio o per strada, ma sempre di dialoghi si tratta. «Chiacchiero molto con loro - dice Arici - non metto quasi mai in posa, non costruisco delle foto. Io trovo delle foto, vedo quello che avviene. Vedo subito la foto qual è, esattamente quella, e faccio due-tre scatti uguali. Sono già scatti scelti, non ho incertezze».
Trent’anni di lavoro nell’ambito della cultura, passati a ritrarre scrittori e artisti, hanno regalato ad Arici una lunghissima galleria di ricordi, come l’incontro con Amado: «Era un persona molto particolare, era amatissimo dai giovani. Forse perché creava il clima di questo Sudamerica fantastico, ma legato a fatti reali come la peste, le malattie, la prostituzione. A Padova ha fatto un incontro in un’aula strapiena di ragazzi che poi hanno fatto una fila lunghissima per farsi firmare i libri». Dopo il primo ritratto, scattato a Peggy Guggenheim nel ’79, di personaggi Arici ne ha visti tanti e questo gli ha permesso di sviluppare una particolare capacità nel leggere le persone e decifrare un volto: «Siccome chiaramente conosco cosa ha scritto questa persona, mi metto in rapporto in maniera abbastanza forte con la sua testa. Mi è capitato spesso di incontrare scrittori o artisti che mi hanno detto “Mi sembra di conoscerti da una vita”. E questo perché probabilmente c’è una compenetrazione di stati d’animo. Si comunica attraverso gli occhi, i gesti».
Se in molte foto l’ambiente non compare per niente, in altre se ne possono captare dei frammenti che lasciano intravedere sullo sfondo una Venezia più intima e umana, questo per una precisa volontà del fotografo: «Cerco di fare delle foto in cui Venezia appaia molto poco, come dei piccoli gesti. Detesto che la città appaia in modo cartolinesco, detesto tutta la zona di San Marco. Amo molto la zona del Ghetto perché permette scorci, permette di avere un rapporto diverso con queste persone. Ad Ammaniti ho fatto un servizio alle Fondamente Nove per esempio. Cerco di rendere una Venezia più periferica». Tra i tanti scrittori immortalati da Arici, non mancano i veneti. Accanto a quelli dell’ultima generazione come Marco Franzoso, Tiziano Scarpa, Romolo Bugaro e Roberto Ferrucci fotografati in gruppo, c’è Gianfranco Bettin seduto sulle rotaie con alle spalle un muro dove sta scritto «Adesso basta!» o, per tornare ancora più indietro, Andrea Zanzotto e Giovanni Comisso. Proprio a Zanzotto è legato il ricordo delle prime prove del lavoro di Arici: «Come primo scrittore, ho fatto delle immagini terribili, di cui io mi sono vergognato per anni, di Zanzotto. Dopo sono tornato altre volte a casa sua e ho fatto delle cose molto belle, mi sono un po’ ripulito da questo senso di colpa della prima volta. Vorrei fare una mostra con foto solo sue».
Nell’attesa intanto, terminata la mostra alla fondazione Buziol, sarà possibile visitare quella dedicata ai ritratti di artisti che sarà inaugurata, in una doppia sede espositiva, venerdì 23 aprile 2010, alle 18 al Centro Culturale Candiani e sabato 24 aprile 2010, alle ore 11.00 al Centro Regionale di Cultura Veneta Paola di Rosa Settembrini.
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