Pavone, la lotta alla Mafia del Brenta e la banda dei giostrai i suoi più grandi successi giudiziari

il ritratto
Carlo Mion
Instancabile è l’aggettivo che più di altri ha accompagnato la figura di Francesco Saverio Pavone durante i quasi 40 anni in cui ha lavorato in magistratura. Nato a Taranto il 25 marzo 1944, è andato in pensione, alla fine del 2016, da Procuratore Capo di Belluno. Ma la sua carriera è stata segnata dalle grandi inchieste contro la Mafia del Brenta, le bande dei giostrai, la mafia russa e la corruzione tra gli appartenenti agli apparati dello Stato.
Prima dell’ingresso in magistratura, ha prestato servizio come funzionario di cancelleria, dapprima in pretura e successivamente in tribunale, sempre nel settore penale e ha concluso questa carriera quale dirigente dell’ufficio di sorveglianza di Venezia. Quindi il passaggio tra le toghe.
Entrato in magistratura, dopo una breve esperienza presso il tribunale penale di Venezia, è stato assegnato all’ufficio istruzione penale dove si occupa di traffici di droga, anche a livello internazionale, sequestri di persona, associazioni a delinquere, di tipo mafioso e non, e di criminalità organizzata in generale.
Nell’89 i suoi colleghi padovani scoprono che un gruppo di mafiosi e alcuni terroristi libanesi vogliono uccidere lui e il colonnello dei carabinieri Ganzer. Nel maggio di quell’anno viene trasferito alla pretura circondariale di Mestre, con funzioni di pretore penale, dove rimane in servizio sino al dicembre del 1993.
Durante questi quattro anni non molla le indagini e infatti come giudice istruttore “in proroga”, conclude numerose e complesse inchieste, tra le quali quella riguardante la Mafia del Brenta, che fa condannare ancora prima del pentimento di Felice Maniero. E poi riconosciuta come associazione a delinquere di stampo mafioso nei tre gradi di giudizio. Tra i successi anche l’inchiesta contro la “banda dei giostrai”, costituita da circa 80 persone, tutte ritenute responsabili e condannate per associazione a delinquere e circa 30 sequestri di persona a scopo di estorsione, consumati nel decennio 1975-1985, prevalentemente nel Veneto e Lombardia.
Nel gennaio 1994 viene trasferito alla procura della Repubblica di Venezia, dove, inserito nella Direzione distrettuale antimafia, rimane in servizio fino al luglio del 2008. Qui ha continuato ad occuparsi, quasi esclusivamente, di criminalità organizzata, anche straniera. Di quegli anni amava ricordare l’inchiesta sulla mafia russa che toccò anche i nostri servizi segreti e vide il tentativo, da parte degli Stati Uniti, di estradare il boss individuato durante le indagini. Ricordava poi l’inchiesta che portò all’arresto del colonnello Mauro Petrassi della Guardia di Finanza, per una serie di mazzette pagate da imprenditori di mezzo Veneto.
Dopo un periodo trascorso alla Procura Generale nel gennaio 2013 la nomina a procuratore della Repubblica di Belluno.
Persona schietta ha sempre detto quello che pensava e si è tenuto lontano dalla politica. Sia da quella interna alla magistratura che di quella fatta in Parlamento. Tanto da rifiutare, a metà anni Novanta, la proposta fattagli dalla sinistra, di candidarsi alla Camera in un collegio sicuro. Spesso per far funzionare il suo ufficio, metteva la mano in tasca il comprava il necessario per lavorare. Materiale che lo Stato non riusciva a garantirgli.
Ma del resto, diceva spesso: «Il mio è il più bel mestiere al mondo». —
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