Parente di un boss può aprire una sala slot

PORTOGRUARO. Avere parentele con persone pregiudicate non è condizione sufficiente perché la Questura possa negare l’autorizzazione per l’esercizio dell’attività di raccolta scommesse. Lo ha stabilito una sentenza del tribunale amministrativo regionale destinata a fare scuola, in riferimento al ricorso presentato da Antonino Litteri e dalla società “Beginbet di Litteri Antonino & C”, difesi dall’avvocato Agatino Cariola di Catania.
Litteri si era rivolto al Tar dopo che la Questura di Venezia, a febbraio 2017, aveva negato l’autorizzazione all’apertura della sala scommesse al civico 20 di via Andrea Bon. La domanda era stata presentata nel 2015, con l’entrata in vigore delle nuove disposizioni sull’autorizzazione delle sale scommesse. I giudici del tribunale amministrativo regionale hanno accolto il ricorso, annullando il provvedimento di diniego adottato dal Questore di Venezia.
Il “no” della Questura, si legge nella sentenza pubblicata nei giorni scorsi, era basato sul presupposto «delle relazioni di parentela e delle frequentazioni dell’istante con soggetti pregiudicati», sottolineando che «l’attività richiesta ben si presta ad illecite movimentazioni di denaro» e del fatto che «i locali possono considerarsi facile e idoneo luogo di incontro o di contatto, anche mediato, tra appartenenti alla criminalità organizzata». Tutte circostanze, queste, che avrebbero indotto la Questura «a ritenere altamente probabile che Litteri sia il cosiddetto prestanome nella gestione dell’attività di raccolta scommesse, espediente rivolto ad elidere l’ostacolo costituito dalle condizioni soggettive di chi intende gestire un esercizio».
Secondo i giudici del Tar, «l’amministrazione (ovvero la Questura) ha posto a base del diniego una serie di fatti che non appaiono sufficientemente approfonditi né valutati in rapporto al loro effettivo spessore, tenuto conto che a carico di Giuseppe Litteri sono assenti sia precedenti giudiziari che carichi pendenti. (...). Né può assumere rilievo il rapporto di parentela con Gaetano D’Angelo, noto pregiudicato, e con Giuseppe Luigi Castoro, arrestato nell’ambito dell’operazione “Leopardo” ma poi assolto». Influenze, queste, comunque smentite dalla relazione dei carabinieri di un paesino in provincia di Enna citata nel provvedimento impugnato per dimostrare l’inattendibilità del ricorrente.
Concludono dunque i giudici: «L’atto impugnato sconta un evidente deficit istruttorio e motivazionale, essendo stato emesso senza il dovuto accertamento di tutte le circostanze e gli elementi oggettivi degli episodi evocati». La Questura, dunque, deve rivalutare la pratica.
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