Palude Venezia, le difese affilano le armi: «Finora solo teoremi, smonteremo le accuse»

I legali degli indagati per cui è stato chiesto il rinvio a giudizio ora si preparano a replicare ai pubblici ministeri. L’avvocato Rampinelli, legale di Brugnaro: «Siamo di fronte al nulla probatorio». La difesa di Kwong: «Decisione incomprensibile»

Roberta De Rossi
Il tribunale di Venezia
Il tribunale di Venezia

Respingono ogni responsabilità per voce dei loro avvocati, alcuni dei protagonisti principali dell’inchiesta Palude. Legali che si dicono «esterrefatti» davanti a notizie di richieste di rinvio a giudizio a fronte di quello che definiscono in coro «il nulla probatorio», ritenendolo basato sulle dichiarazioni dell’imprenditore Claudio Vanin, autore dell’esposto da 4 mila pagine inviato alla Procura dopo che l’affare Pili (nel quale era coinvolto) era definitivamente svanito.

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Mister Kwong con il sindaco Brugnaro

«Per l'ennesima volta apprendo dai giornali la notizia di un atto dei pubblici ministeri, prima che venga notificato come prevede la legge», commenta l’avvocato del sindaco, il legale Alessandro Rampinelli, insieme all’avvocata Giulia Ranzato, legale del vice capo di gabinetto Derek Donadini, «sono assolutamente esterrefatto della richiesta che, di fronte al nulla probatorio costituito dalle dichiarazioni contraddittoria e già smentite del signor Vanin, si intende rinviare a giudizio il sindaco. Si apre ora la fase di fronte a un giudice e sono contento come difensore di poter finalmente parlare a un giudice, che deve accertare la verità e non sostenere teoremi che non trovano neppure riscontro negli atti del processo, costruiti fuori dal processo e per finalità che non sono quelle del processo».

«La scelta della Procura della Repubblica - se confermata da atti formali allo stato ignoti alle parti - appare come molto impegnativa, perché attributiva della qualifica di imputati ai vertici dell'Amministrazione comunale di un’importante città come Venezia, per delle false accuse di un chiamante in correità (l’imprenditore Claudio Vanin, ndr), che gli atti hanno già platealmente smentito», osserva l’avvocato Alberto Berardi, legale del direttore generale Morris Ceron, «da ultimo, la ritrattazione esplicita dell'unica fonte dichiarativa di sostegno, che ha confessato di essere stata indotta dal predetto dichiarante a riferire in modo non veridico ed eterodiretto. In tale scenario, ciascuno si assumerà le conseguenti responsabilità sul piano giudiziario e sociale, rispetto all'introduzione di un giudizio (che a questo punto è fondamentale sia pubblico e inizi il prima possibile) con delle conseguenze extra processuali così rilevanti. Il tutto sulla base di una piattaforma investigativa assolutamente inidonea ad immaginare una qualsiasi ipotesi di responsabilità penale».

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Attaccano i legali del magnate Ching Chiat Kwong, quotato alla Borsa di Singapore e in posizione altrettanto delicata. «Non abbiamo ricevuto nulla e quindi non sappiamo quale sia stata la decisione della Procura. Se fosse effettivamente quella di chiedere il rinvio a giudizio per Mr Ching Chiat Kwong sarebbe una decisione del tutto inaspettata e scollegata dalla realtà dei fatti e dalle prove raccolte», scrivono gli avvocati Guido Simonetti, Simone Zancani e Leonardo De Luca, «tanto più ora che persino la signora Angelica Bonsignori ha trovato il coraggio di ritrattare quanto aveva dichiarato riguardo al coinvolgimento del signor Luis Lotti nel pagamento al dottor Renato Boraso da parte della società del figlio di Claudio Vanin (il riferimento è alla tangente contestata a Boraso, per la vendita di Palazzo Poerio, ndr). Sarebbe una decisione incomprensibile per il signor Ching abituato ad un sistema che responsabilizza diversamente i pm, un sistema lontanissimo da quello italiano dove occorre l’intervento di un giudice per riconoscere il carattere calunnioso di una chiamata in correità di un pregiudicato priva di qualunque riscontro se non addirittura, come in questo caso, smentita dalle prove».

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