Orsoni non potrà discolparsi dall'accusa dei soldi in nero del Mose. I giudici: resta la prescrizione

Caso Mose, l’ex sindaco voleva dimostrare la sua totale estraneità ma i giudici di Cassazione hanno rigettato il ricorso 
Interpress/Mazzega Venezia, 16.06.2016.- Tribunale di Venezia, Processo "MOSE".- Nella foto il Prof. Giorgio Orsoni
Interpress/Mazzega Venezia, 16.06.2016.- Tribunale di Venezia, Processo "MOSE".- Nella foto il Prof. Giorgio Orsoni

VENEZIA.

Giorgio Orsoni ha perso la sua battaglia per uscire senza neppure una macchia dalla vicenda Mose. La Cassazione, alla quale si era rivolto, non ha cancellato la prescrizione sulla contestazione di aver incassato in nero da Giovanni Mazzacurati 250mila euro per la campagna elettorale e quindi non potrà dire che quel finanziamento non c’è stato e non era reato. Inoltre dovrà versare 9.500 euro a Comune e Città Metropolitana.

Due giorni fa i giudici della Cassazione, hanno deciso sui ricorsi presentati contro la sentenza di secondo grado non solo dell’ex sindaco Orsoni, ma anche di altri quattro imputati. Assolto per i 110 mila euro di finanziamento ricevuti “in chiaro” in campagna elettorale dal Consorzio Venezia Nuova, Orsoni aveva visto prescritta l’accusa di aver ricevuto 250 mila euro direttamente dall’allora presidente del Cvn Giovanni Mazzacurati.

Oltre a negare la circostanza, l’ex sindaco sosteneva che non lo si poteva accusare di finanziamento illecito dei partiti in quanto candidato di coalizione non iscritto ad alcun partito. Come dire che l’accusa era illegittima. E in effetti il procuratore generale della Cassazione ha sollevato eccezione di Costituzionalità per disparità di trattamento o, in subordine, chiesto l’assoluzione di Orsoni perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Ma i giudici della Cassazione hanno rigettato il ricorso di Orsoni.

«Abbiamo vinto su tutti i fronti e le nostre tesi erano giuste. Del resto è la legge che parla chiaro. Il candidato sindaco non eletto entra di diritto in Consiglio comunale, in base all’articolo 73 sulle elezioni locali», ribadisce l’avvocato Luigi Ravagnan, legale di Comune e Città metropolitana, parte civile, «e pertanto deve sottostare alle stesse norme previste per tutti i candidati consiglieri».

Nell’udienza sono stati giudicati anche i ricorsi di altri quattro imputati. Per l’imprenditore Erasmo Cinque (4 anni per corruzione e 9 milioni di confisca), i giudici hanno dichiarato prescritto il reato, ma è stata confermata la confisca dei beni. E inoltre dovrà risarcire il Comune con 950 mila euro e la Città Metropolitana con 185 mila euro. Rigetto del ricorso anche per Nicola Falconi, quindi anche per lui il reato rimane prescritto. Ha già risarcito il Comune con 60mila euro. Infine è stato definito inammissibile ilo ricorso di Corrado Crialese al quale resta la condanna di 1 anno e 8 mesi. Decisamente soddisfatto dell’esito della sentenza della Cassazione è il Procuratore Aggiunto Stefano Ancillotto anima del processo per le tangenti del Mose. Spiega Ancillotto: «Sentenza che conferma la bontà dell'inchiesta, c’erano tantissimi riscontri e conferme, e nel merito era fondata. Sono rimaste ferme le confische e le statuizioni civili. Il risarcimenti allo Stato, solo nel caso Cinque è di 9 milioni di euro. È una parte di quanto è stato illecitamente sottratto alle casse pubbliche», continua Ancillotto, «avevamo ricevuto molte critiche sulla posizione di Orsoni, invece sono stati corretti sia la valutazione del passaggio illecito di denaro in nero, che la contestazione del reato. Orsoni ha preso i soldi in nero e ciò è un reato. Guardando complessivamente la vicenda, meglio un patteggiamento mite oggi che una gran pena esemplare al dibattimento che finisce in un nulla di fatto. Se avessimo dovuto processare Galan e Chisso non saremmo arrivati in tempo», conclude Ancillotto. —



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