Omicidio Gobbato, il padre di Jack un anno dopo: «Il suo gesto ha lasciato un segno»

Un anno fa Giacomo Gobbato venne ucciso in corso del Popolo a Mestre perché aveva difeso una donna da una rapina. Il padre: «Piante, fiori, messaggi: il memoriale è un luogo vivo. Una targa? Peccato non sia stata una proposta delle autorità»

Giacomo Costa
Giacomo Jack Gobbato
Giacomo Jack Gobbato

​​​​​​«Credo che quello che ha fatto Giacomo, quella sera, abbia lasciato un segno tangibile nella comunità mestrina, che il gesto compiuto da lui e dal suo amico Sebastiano abbia ispirato e ancora continui a ispirare tanti ragazzi come loro. Ma devo anche sottolineare che, come padre, il dolore che provo è lo stesso di ogni genitore che ha perduto un figlio, a prescindere dalla circostanza: da un anno mi sento incredibilmente vicino a ogni famiglia segnata dal lutto, ogni notizia di una giovane vita spezzata sulla strada, ogni ragazzo morto sul lavoro, ogni tragedia mi tocca nel profondo. Eppure mi mancano le parole giuste da rivolgere a quei genitori che attraversano il mio stesso calvario».

Luca Gobbato parla a voce bassa, il tono misurato trattiene una pena che in dodici mesi non si è mai affievolita, ma non è neppure diventata un trampolino per odio o intolleranza. E che è rimasta paradossalmente intima, anche a fronte di un’immensa risposta collettiva.

La sera di domenica 21 Mestre tornerà a ricordare il 26enne ucciso dalla coltellata di un rapinatore, la notte del 20 settembre 2024: lo farà con una cena di quartiere, a pochi passi da quel marciapiede dove si è consumato lo scontro tra Giacomo “Jack” Gobbato, Sebastiano Bergamaschi e il 38enne Serghiei Merjievschii.

Il padre di Jack, Luca Gobbato
Il padre di Jack, Luca Gobbato

Lei parteciperà?

«Sì, ci sarò anche io. Ci sarò per rendere omaggio a mio figlio ma anche a tutti i suoi amici, a tutti i giovani che magari neppure lo conoscevano ma che in questo anno l’hanno voluto ricordare e, nel suo nome, hanno fatto tanto, impegnandosi in tanti progetti solidali, portati avanti per riprendere il suo spirito, e il suo gesto».

Un gesto che qualcuno vorrebbe venisse commemorato anche con una targa, dove è successo. Lei è d’accordo?

«Sarebbe bello, sì. Quello che hanno fatto Giacomo e Sebastiano è stato un atto di pura generosità, di altruismo in qualche modo eroico. E mi lascia un po’ interdetto che questa proposta arrivi solo dal basso e non sia stata portata avanti dalle autorità locali, sinceramente».

I gesti spontanei, in quel tratto di corso del Popolo, non sono mancati: sulla recinzione ci sono ancora fiori, foto, striscioni...

«Io ci vado spesso, sento la presenza di mio figlio più lì che in cimitero: è importante avere una lapide dove Giacomo è sepolto, ovviamente, ma quei cinque metri di marciapiede sono un luogo vivo, dove lui è ancora amato. E infatti non è mai rimasto uguale, in questi dodici mesi: c’è qualcuno che dà acqua alle piante, che cambia i fiori, che sostituisce le foto sbiadite, che aggiunge messaggi. Che se ne prende cura, costantemente, è un ricordo affettuoso. Ed è qualcosa che mi colpisce moltissimo».

Il marciapiede in corso del Popolo dov’è stato accoltellato Giacomo Gobbato (foto Pòrcile)
Il marciapiede in corso del Popolo dov’è stato accoltellato Giacomo Gobbato (foto Pòrcile)

La figura di suo figlio è diventata un simbolo per Mestre. È stato difficile vivere il dolore in questi termini?

«Pensiamo a lui ogni giorno, cerchiamo di pensare meno a tutto il resto, al caos del processo, alle conseguenze mediatiche, un meccanismo che tende a stritolarti, in un momento in cui è già tutto terribile. E poi, a prescindere dalla vicenda di Giacomo, una perdita di questo tipo finisce per tornarti addosso ad ogni altra notizia che racconti di un figlio perduto. Oggi sento la sofferenza di ogni famiglia distrutta, e purtroppo sono tantissime, giorno dopo giorno».

Ha parlato del processo, come avete accolto la sentenza dell’ergastolo per l’assassino di Giacomo?

«Sinceramente non mi sento in grado di commentare la decisione del giudice, non so dire se sia corretta, eccessiva o carente. Devo però dire che è stato un procedimento rapido, e non sempre questo si può dire della giustizia italiana, anche quando c’è evidenza di prova. Certo, ora ci aspettiamo un appello, come è inevitabile».

Sebastiano, parlando anche con la voce del centro sociale Rivolta, non si è voluto costituire parte civile. Come legge questa decisione?

«Comprensibile e perfettamente in linea con lo spirito del gruppo e con quello che era il sentire di mio figlio. In verità anche noi, come famiglia, ci siamo costituiti solo per poter partecipare al processo, non essendo direttamente parte offesa: nessun risarcimento ci restituirà mai Giacomo, non è per quello che siamo in aula».

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