’Ndrangheta in Veneto, la stangata Al clan Bolognino 77 anni di condanna

Pene più severe delle richieste della Procura per 7 imputati: 20 anni al boss, 16 anni a Mangone. Un’assoluzione
Cristina Genesin
SALMASO.CONFERENZA STAMPA GS GALLIERA
SALMASO.CONFERENZA STAMPA GS GALLIERA



Forse un po’ più clementi sono stati con lui i giudici del processo Aemilia, terra di sole, gastronomia e accoglienza diventata purtroppo anche terreno fertile per le organizzazioni di stampo mafioso. E se nell’avamposto ’ndranghetista tra tortelli e lasagne Sergio Bolognino era stato punito con 19 anni e 3 mesi di carcere in primo grado, poi ridotti in appello a 13 anni e mezzo, ieri è andata molto peggio al boss in terra Veneta. Terra che è nuova frontiera di conquista dei clan di matrice calabrese, dove i soldi sporchi sono lavati con meccanismi di false fatturazioni create grazie a società cartiere (ovvero produttrici di fatture per operazioni inesistenti) e rimessi nel circolo economico arraffando imprese in crisi (soprattutto nel settore edile) risucchiate nel vortice dove gli affari vanno di pari passo con la criminalità organizzata. Talvolta con l’adesione, volente o nolente, degli imprenditori che, stretti fra debiti e minacce, magari divisi fra un senso di solitudine e il desiderio di mettersi alle spalle i problemi finanziari con danaro facile, sono pronti a cedere partecipazioni societarie, pagando il prezzo di quella collaborazione con operazioni illegali, coperture agli ’ndranghetisti, facce presentabili per arruolare altri colleghi in difficoltà.

Mercato devastato

Voilà, ecco una nuova imprenditoria che nella nostra Regione rischia di distruggere anche il mercato del lavoro oltreché l’economia nel suo complesso. Ne è stato ben cosciente il tribunale di Padova (presidente il giudice Marina Ventura) che ha pronunciato una sentenza severa, comminando ben 77 anni e 6 mesi complessivi di carcere a 7 degli otto imputati (uno assolto), quasi 12 anni oltre le richieste della pubblica accusa, il pm della Dda veneziana (Direzione distrettuale antimafia) Paola Tonini. E ordinando dei risarcimenti che, se premiano con un ristoro consistente le istituzioni (300 mila euro ciascuno a Presidenza del Consiglio e Ministero dell’Interno, 400 mila alla Regione), segnano un punto importante in difesa del mondo del lavoro riconoscendo 20 mila euro alla Cgil Veneto (tutelata dall’avvocato Leonello Azzarini). Le conseguenze dell’insinuazione nel territorio delle attività criminali? «Si ripercuotono direttamente anche sulle aziende sane molto spesso costrette ad abbassare i prezzi e, a monte, i salari dei lavoratori per continuare a reggere un mercato corrotto dall’azienda criminale» aveva scritto il legale nella costituzione di parte civile. Un’analisi recepita in pieno dalla decisione del tribunale.

Le condanne

Quattro ore di camera di consiglio. E in un’aula affollata, presente pure il capo della procura veneziana Bruno Cherchi accanto alla pm Paola Tonini e al colonnello Luigi Manzini, comandante dell’Arma dei carabinieri di Padova, è stata letta la sentenza: 20 anni per Sergio Bolognino, 52enne di Locri residente nel Vicentino a Tezze sul Brenta (erano stati chiesti 18 anni); 16 anni e mezzo per Antonio Genesio Mangone, 56enne calabrese, “il picchiatore” del gruppo con casa a Legnaro nel Padovano (chiesti 13); 8 anni e 10 mesi rispettivamente ai calabresi Francesco Agostino, 54enne di Platì (Reggio Calabria) e Stefano Marzano, 49enne nativo di Locri trapiantato a Parma con l’imprenditore trevigiano Antonio Gnesotto, 56enne di Villorba (chiesti per tutti 8 anni); 9 anni e 4 mesi per l’imprenditore padovano Luca De Zanetti, 53enne di Vigonza (chiesti 5 anni e 6 mesi); 5 anni e 4 mesi all’imprenditore Emanuel Levorato 38enne di Vigonza (5 anni e 4 mesi). Assolto il calabrese Antonio detto Tonino Carvelli. Bolognino e Mangone sono stati ritenuti responsabili di aver creato in Veneto «un’articolazione criminosa dell’associazione denominata ‘ndrangheta, in particolare della cosca “Grande Aracri”, organizzazione criminale di stampo mafioso, originaria dei territori calabri... con autonoma articolazione in Emilia... allo scopo di estendere ad alcune province del Veneto, il potere di influenza e di intimidazione di stampo mafioso».

il racconto

Lo aveva raccontato bene in aula l’imprenditore di Piove di Sacco Adriano Biasion, coinvolto nel filone veneziano dell’inchiesta Bolognino che gli è costato l’arresto. Travolto dalla crisi, il debito con le banche sale a 5 milioni e lui mette caccia di soldi. Bolognino si fa avanti con un prestito. Aveva ricordato Biasion: «Un amico e collega Francesco Gigliotti mi avvertì: “Stai attento...”. Anche lui era in debito con Bolognino ed era stato picchiato... Mi disse che “a un certo punto i soldi se li portano a casa”». Gigliotti morirà suicida. —

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