«Fumava, ma morì per l’amianto»: Fincantieri deve 115 mila euro agli eredi

La Corte d’appello rovescia la sentenza del Tribunale che non aveva riconosciuto il nesso causale: Fincantieri condannata

Roberta De Rossi
Risarciti i familiari di una vittima di mesiotelioma che fumava
Risarciti i familiari di una vittima di mesiotelioma che fumava

Un’altra storia di morte per inalazione di amianto sul luogo di lavoro. Sono ormai centinaia le sentenze di risarcimento alle famiglie delle vittime di lavoratori che negli anni Settanta e Ottanta vennero in contatto con le fibre cancerogene usate nella coibentazione di navi, treni, movimentate al porto senza alcuna protezione efficace.

Dalla Corte d’Appello arriva ora una sentenza particolare, che per la prima volta riconosce in pieno il risarcimento - per quando era in vita - del dolore patito da un ex dipendente Fincantieri ammalatosi di mesotelioma (poi morto per il cancro ai polmoni), anche se era stato un fumatore, condannando la società a pagare ai familiari eredi 115 mila euro.

«Il risarcimento è stato corrisposto per la sofferenza patita in vita dall’operaio per la malattia e per la consapevolezza di dover morire prematuramente», osservano gli avvocati Enrico, Claudia, Carlo Enrico e Livia Cornelio, «il caso differisce dalla generalità di casi simili in quanto la Corte d’Appello non ha operato il dimezzamento del risarcimento nonostante il dipendente fosse fumatore. Infatti, Fincantieri ha documentato solo genericamente questa abitudine e per tanto la Corte d’Appello ha ritenuto di dover applicare il principio espresso dalla Corte di Cassazione in una sentenza del 2024, che ha stabilito che quando l’abitudine di fumare “non sia supportata da adeguata prova in ordine a quantità, durata ed effettiva incidenza causale, specie laddove l'esposizione all'amianto sia considerata di per sé sufficiente a determinare l'evento letale, il datore di lavoro è tenuto al risarcimento integrale del danno in assenza di prova certa circa l'efficacia causale esclusiva di fattori esterni alla sua sfera di controllo e responsabilità”».

«Prima che il ricorrente morisse», proseguono i legali, «era stata disposta dal giudice una consulenza medico legale, le cui conclusioni accertarono che non era possibile dichiarare il nesso di causa tra malattia ed esposizione lavorativa ad amianto. Subito dopo il ricorrente decedeva e veniva eseguita un’autopsia da parte della Procura di Venezia, la quale, tramite esame del tessuto polmonare, accertava il nesso di causa tra la malattia e inalazione di amianto sul luogo di lavoro».

Nonostante questo, il Tribunale rigettò la richiesta di risarcimento, accolta invece ora dalla Corte d’Appello. «Adesso i congiunti della vittima potranno ricorrere al Tribunale Civile di Venezia», concludono i legali, «per ottenere il risarcimento del danno che spetta a loro per la perdita prematura di un loro parente stretto».

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