Medico contagiato in ospedale dell'Angelo di Mestre. «Protocolli anti Covid poco stringenti»

La denuncia dell’internista Andrea Zancanaro, ricoverato all’Angelo. E un altro descrive le Rianimazioni: «Si sceglie sulle chance di sopravvivenza»

MESTRE. «La certezza totale, chiaramente, non posso averla. Però, sì, quasi certamente mi sono contagiato nel reparto di ospedale in cui lavoro». È la testimonianza di Andrea Zancanaro di Anaao veneto, allergologo e medico internista all’ospedale Dell’Angelo.

«È successo a fine dicembre. Alcuni pazienti ricoverati nell’area non Covid del reparto di Medicina si sono positivizzati durante il ricovero e da lì è divampato il focolaio, che ha coinvolto anche altri colleghi. Il tampone molecolare, che viene fatto a tutti i pazienti prima del ricovero, è una fotografia del momento. Ma l'incubazione del virus può durare anche 14 giorni, quindi può succedere che si riscontrino positività successive al ricovero".

"Anche nei reparti non Covid il rischio di contagio non può essere zero. Per questo in ospedale ci sono stati dei focolai interni. Nei reparti non Covid i protocolli sono severi, ma un po’ meno stringenti rispetto a quelli adottate nei reparti Covid. In questi ultimi sono individuati percorsi ad hoc e ci sono procedure di vestizione estremamente rigide. Io sono positivo dal 22 dicembre".

"Nel mezzo, ho trascorso tre giorni e due notti ricoverato nel reparto di Medicina. Sono passato dall’altra parte, con una polmonite interstiziale bilaterale. Difficoltà respiratorie, nausea, febbre, tosse, diarrea, una gastroenterite importante che mi ha disidratato, decadimento fisico. Il tutto è rientrato con la terapia endovenosa e le cure dei sanitari. Il loro sforzo e i loro sacrifici per fronteggiare questo disastro vanno ben oltre i doveri d’ufficio. Sono più che encomiabili: commoventi».

Ma è dura, come dimostra la testimonianza estremamente cruda di un medico dell’area Covid dello stesso ospedale di Mestre, che parla di quanto ha sotto gli occhi tutti i giorni. «Se non ci sono posti in Terapia intensiva, bisogna ritardare il ricovero di qualche giorno od organizzare un trasporto anche a distanza di qualche decina di chilometri, che diventa rischioso per il paziente». Il reparto di Rianimazione dell’ospedale Dell’Angelo, in questi mesi, non è mai stato completamente pieno.

«La questione è che i posti di Terapia intensiva sono preziosi e scarseggiano. A maggior ragione in questi mesi di emergenza sanitaria, con posti letto di Rianimazione ancora più rari. Per questo è difficile che i posti di Terapia intensiva possano essere “riempiti” con pazienti di 90 anni, perché questo significherebbe non avere più disponibilità per l’eventuale ricovero di un 30enne, dopo un incidente stradale. Sono valutazioni che abbiamo sempre fatto, ora a maggior ragione".

"Se c’è un paziente di 90 anni - a meno che non abbia nessuna malattia, che sia completamente autonomo e che abbia un supporto familiare, sociale speciale - è difficile che potrà avere indicazione di terapia intensiva. Perché mancano i letti, perché le chance si sopravvivenza si riducono con l’aumentare dell’età e del numero di patologie e perché il sistema sanitario deve ancora vivere di sostenibilità. La Ti è un ambiente estremamente dispendioso e questo è il motivo per cui i letti sono limitati. A volte è anche questione di accanimento terapeutico. I pazienti che arrivano in Ti sono gravissimi. Purtroppo sono molto più i letti liberati a causa dei decessi che per dimissioni». — 

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