Il ricordo di Marco Cè, il patriarca amico che portava pace e univa le persone di credo diverso
L’omaggio in un libro curato da Franco Conte e presentato al Museo M9 nel centenario della nascita del cardinale. In sala politici, ex amministratori, già sindaci, sacerdoti, laici e religiosi

Un Patriarca in dialogo con il mondo di fuori, gli ultimi, i più fragili, gli immigrati, attento ai segni e ai cambiamenti della società, in ascolto dei bisogni dei suoi cittadini, rispettoso dell’autonomia dell’ambito civile e al contempo figlio della primavera conciliare che ha guidato, accompagnandola, la Chiesa di Venezia in pieno fermento.
Martedì 8 luglio nell’auditorium del Museo M9, è stato presentato il libro «Un patriarca per amico. Marco Cè e i laici» edito da Marcianum Press e curato da Franco Conte. In sala politici, ex amministratori, già sindaci, sacerdoti, laici e religiosi che hanno lasciato un segno nel tessuto sociale e con il patriarca Marco Cè hanno condiviso una visione della città. Tanto che per 10 anni si sono incontrati nella sua biblioteca, i basabanchi e i miscredenti (cit), ciascuno mettendoci tutto se stesso per una Venezia migliore.
A partire dalle righe dei contributi contenuti nelle pagine del testo, lo storico Carlo Urbani e il giornalista Paolo Possamai, direttore editoriale del gruppo Nem, hanno interrogato i presenti sul messaggio di attualità valido allora e oggi, del patriarca più amato di sempre.
Maria Laura Conte e Maria Paola Scaramuzza hanno presentato gli ospiti assieme al curatore, Franco Conte. L’arciprete del Duomo, don Gianni Bernardi, ha letto il messaggio del patriarca Francesco Moraglia per i cento anni dalla nascita di Cè, che cadevano l’8 luglio: «Chi ha avuto la grazia di conoscerlo ricorda il sorriso sereno e accogliente che metteva a proprio agio chiunque si rivolgesse a lui».
«La memoria collettiva aiuta a costruire la storia e grazie a questa si può costruire il futuro» ha esordito Urbani. Lo storico ha sottolineato lo stile ecclesiale di Cè «la consapevolezza che il mondo che sta fuori dalla Chiesa non è abbandonato da Dio e la Chiesa non è l’unico luogo di Dio».
Possamai ha riflettuto sulla diversità tra il ricordo, intriso di sentimento, e la memoria, rielaborata, che fa riemergere un racconto che interroga il presente. L'attualità è rappresentata dal messaggio di pace, come l’ha definito Possamai, di cui era portatore Cè.
Il direttore ha scelto un passo di una delle tante testimonianze, quella di lunedì 20 agosto del 1979, quando tre navi entrarono in bacino portando 900 profughi fuggiti dalla guerra del Vietnam: ad attenderli in Riva degli Schiavoni, una folla festante di poter accogliere persone traumatizzate da un confitto terribile.
«Togliete Vietnam e mettete Ucraina, togliete le famiglie festanti e mettiamoci noi. Saremmo capaci di questa mobilitazione? Di questa volontà di incontrare questi novecento disperati? Il libro ha tra i suoi meriti, quello di aiutarci a svegliarci da un torpore drammatico che ci avvolge tutti e che sta dentro una narrazione inversa rispetto al motto di pace che Cè aveva scelto per la sua propria missione». Conte ha ricordato che l’amicizia di Cè «non era a numero chiuso. Ci ha insegnato che i Vangeli aspettano chi ha passione civile, chi è capace di perdono e chi costruisce la pace».
Bettin ha sottolineato la spinta che l’allora patriarca ha dato alla politica di welfare. «Ha sostenuto lo sforzo che la città faceva, con lui lavorammo su due filoni: la difesa di autonomia dei più fragili, tra cui i primi immigrati, e le nuove dipendenze. La sua era una Chiesa che andava dentro la società».
Andrea Ferrazzi ha messo l’accento sulla capacità di far radunare persone diverse e agli antipodi, valorizzando le differenze. Sul palco si sono alternate le voci degli amici di Cè: Paolo Bonafè, gli ex sindaci Giorgio Orsoni e Ugo Bergamo, Luciano Pomoni e ancora Mara Rumiz, Ezio Da Villa, l’ex presidente della provincia Luigino Busatto.
A chiudere Maria Paola Scaramuzza ha ricordato la forza di quegli incontri durati 10 anni, dove i basabanchi e i miscredenti andavano a scuola di relazione, al mattino in Giunta litigavano, la sera facevano comunità con Cè.
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