«Mandate a casa Ravà e riaprite la trattativa»

Il licenziamento in tronco dell’amministratore Vittorio Ravà, a fronte di un calo del 20 per cento degli incassi nel 2011 e di un crollo di altri 4,8 milioni tra gennaio e febbraio. E la riapertura della trattativa sul futuro del casinò, anzi, l’«apertura, visto che finora è stato un assoluto falso, con una proposta irricevibile presentata apposta dall’azienda, fatta solo per far saltare tutto e arrivare alla privatizzazione già decisa».
Queste le richieste trasversali in arrivo da tutti i rappresentanti sindacali dei lavoratori del Casinò che si sono alternati al microfono, in un Consiglio comunale caldissimo, cadenzato dalle grida e dai cartelli di protesta degli oltre 200 dipendenti della casa da gioco, che hanno fatto da controcanto polemico a una seduta durata oltre quattro ore, più volte sospesa dal presidente Turetta, per cercare di richiamare a un ordine impossibile, ieri, da tenere. Così le grida si sono trasformate in boato quando il sindaco Orsoni ha difeso per ben tre volte «la professionalità del managment», stuzzicando volontariamente la reazione del pubblico. I lavoratori ritengono le proposte avanzate dall’azienda una pura provocazione in vista di una privatizzazione - dicono - già decisa e, così, giustificano la non disponibilità a discutere di riduzione del 10 per cento degli stipendi, di flessibilità ai giochi, di uscita immediata per chi ha maturato la pensione, di revisioni dei premi, tra le proposte dell’azienda. Chiusura totale, muro-contro-muro.
«Sindaco, lei in campagna elettorale ha detto che non privatizzava: ha cambiato le carte in tavola», interviene Andrea Gaggetta, Cisl, «ma se il Casinò è passato da 200 a 140 milioni di euro di incassi la colpa è dei lavoratori o dell’amministratore Ravà?! La trattativa, ma vera, va riaperta subito o non ci muoviamo: non con l’azienda, ma con un tavolo neutro, aperto ai partiti per salvare l’azienda più importante della città». L’Rdb Giampietro Antonini regala al sindaco un Monopoli, per la Giornata del papà: «La regola base che conoscono tutti è non cedere mai Parco della Vittoria, la proprietà più preziosa. Il casinò non si deve cedere: si faccia piuttosto una gara di evidenza pubblica per trovare un managment all’altezza, capace di produrre utili pubblici, non privati». Un dialogo tra sordi, quello tra sindacati e Comune. «Come ci si fa a presentare alla trattativa senza fondi per investimenti?», commenta De Giuli, della Uil, «l’unca proposta che fanno è quella di ampliare il pargheggio e fare il restyling di Ca’Noghera: ma per chi se non ci sono clienti? ». «Senza trattativa l’unica alternativa che ci lasciate è lo sciopero ad oltranza», incalza Francesco Francalli dello Snals, «per anni avete lasciato che il Casinò fosse il forziere di qualsiasi appetito clientelare e ora scaricate sul personale, anche se Venezia ha il costo per personale il più basso dei quattro casinò». Questione delicata, questa degli stipendi, che crea un corto circuito con la città «altra»: a parte i 150 dipendenti con stipendi oltre i 100 mila euro, un dipendente mostra la sua busta paga di 71 mila euro lordi, pari a 42 mila netti, «ma lavoro di notte!». «Propongo al sindaco di andare fino in fondo e vendere la città all inclusive», chiosa Paolo Lazzerino dell’Ugl, «casinò, palazzi, case e cittadini». «E’ una provocazione difendere un managment che ha perso il 20% degli incassi», insiste Alessandro Croci, Rlc. «Ma come fa un’azienda che sta così male ad attrarre privati per fare utili?», chiude Salvatore Affinito, Cgil, «il problema non è il personale, ma le sale drammaticamente vuote. Abbiamo scritto al ministro dell’Economia, perché le entrate del casinò sono per legge entrate tributarie: nel 2009 l’allora sottosegretario Giorgetti disse che per questo non si poteva cedere ai privati». Domani, appuntamento con il prefetto.
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