Mafia, i nomi delle vittime nel silenzio della Basilica

Giorgio Verdura, Graziella Maesano, Antonino Cassarà, Giuseppe Scalia, Peppino Impastato, Paolo Giorgetti, Domenica De Girolamo, Annamaria Esposito. Sono solo alcuni dei mille nomi letti ieri, nella Basilica di San Marco, durante la seconda giornata dell’Assemblea nazionale dei familiari di vittime di mafia, organizzata da Libera. Giornata aperta con un incontro con l’attore Marco Paolini sull’importanza della memoria. Paolini, sulla base delle sue esperienze teatrali in cui ha raccontato le stragi del Vajont e di Ustica, ha affermato l’imprescindibilità della ricostruzione storica, ricordando però che i padri devono assumersi le proprie responsabilità e non scaricarle sulle nuove generazioni.
Nel pomeriggio è toccato al Patriarca parlare di fronte alla platea di 400 persone. «Non t’importa che moriamo?». È La domanda che i discepoli rivolgono a Gesù nel momento più drammatico della traversata del lago. La stessa domanda s’innalza dai familiari delle vittime di mafia che chiedono la verità». Ascoltano i nomi dei loro parenti uccisi dalle mafie. C’è silenzio. Rotto alla fine da un lungo, composto applauso. Chiedono verità. Alcuni hanno ottenuto il sollievo di una verità processuale. Per gli altri il tormento di morti senza colpevole. «Sono Giovanni, figlio di Angelo Calabrò, appuntato dei Carabinieri ucciso a Corleone nel ’75. Aveva 25 anni, io 21 mesi. Non ho suoi ricordi». Una “damnatio memoriae” perpetrata nel silenzio processuale. «Nessun processo. Appena ho compiuto 18 anni ho preso la macchina e sono andato a Corleone per parlare col Comandante. Mi disse: “È inutile riaccendere il fuoco ora che è stato spento”. Mi fece male. Ma non mi fermerò». Silvia Ruotolo, 39 anni, raggiunta da un colpo di pistola mentre rientrava a casa col figlioletto. Alla finestra c’era Alessandra, l’altra figlia, di 10 anni. Vittime innocenti. Come Antonio Landieri, disabile, ucciso a 25 anni per uno scambio di persona. «Perché siamo di Scampia, quindi camorristi», dicono Vincenzo e Raffaella, i genitori. Nel loro volto non c’è rabbia. Solo disperazione. «Vogliamo giustizia». È il grido silenzioso perché soffocato da processi spesso mai iniziati. Non avrà mai giustizia la figlia di Alfonso Isgroia: il padre, guardia giurata, fu assassinato a Palermo nel 1979 durante una rapina. L’esecutore materiale, il capomafia Giovanni Greco, sarebbe stato ucciso a sua volta dalla Lupara Bianca. E ha avuto un sollievo solo parziale Alessandra Del Prete, nipote di Pasquale Miele, piccolo imprenditore ucciso a 28 anni perché ribellatosi al racket. Storie, nomi, volti diversi. Le vittime. I loro familiari. Accomunati dalla richiesta di verità. Non smetteranno mai di cercarla. —
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