L’enciclopedia dei mestrini viaggio nella nostra storia

Ristampato il volume di Barizza con una parte inedita sulla città contemporanea Un libro per capire da dove veniamo e come Mestre si è trasformata nel tempo
Di Mitia Chiarin

Una ristampa, certo, del libro esaurito e introvabile, pubblicato vent’anni fa. Ma un libro tutto nuovo, aggiornato, corredato di fotografie spesso inedite ai più, con un intero nuovo capitolo dedicato al Marzenego e al rapporto di Mestre con l’acqua e in cui trovano spazio anche la storia di scuole come Pacinotti e Franchetti, della casa di riposo di Mestre (oggi Antica Scuola dei Battuti) e, nella sezione dedicata alle famiglie e alle figure importanti, troviamo le storie di Ester Zille, della famiglia Ticozzi e pure di Giuseppe Urbani de Gheltof, grande sostenitore della realizzazione di un museo di Mestre. Un libro per capire anche la Mestre di oggi. Sergio Barizza, storico della città, spiega che si è dedicato alla «nascita e della formazione della prima città di Mestre». La seconda è quella che nasce dal 1926 con lo sviluppo industriale di Marghera. La terza è quella attuale, figlia del declino industriale. Le città sono tutt’altro che entità statiche e questo Barizza, classe 1941, ex responsabile degli archivi storici del Comune di Venezia (dal 1981 al 2004) lo sa benissimo. La storia è fortemente moderna.

Per Barizza, guardare, per esempio, a piazza Barche e al canal Salso è importante per la Mestre di oggi. «Il recupero di quell’asse del canale che terminava davanti all’attuale Centro le Barche (la cui testata è emersa in occasione dei lavori del tram per poi essere subito risotterrata) è un punto fondamentale per la qualificazione di Mestre perché costituisce una parte essenziale del paesaggio urbano, sottolineando l’importanza di sei secoli di vita/rapporto con Venezia grazie alle barche da trasporto merci e passeggeri che da quelli rive si muovevano». Sbagliato fu il concorso per la nuova piazza, tra cemento e vetro; deleteria la scelta di far tagliare il canale con il passaggio del tram. Ricorda Barizza che «l’orma del canale è ben segnata e individuata, si tratta di liberare innanzitutto il suo letto dalle superfetazioni (in particolare i distributori di benzina), ripulire e anche solo ben mantenere un lungo asse verde». Anche la riscoperta del Marzenego riporta alla luce questioni irrisolte come il mancato abbattimento dell’ex emeroteca. Una occasione persa anche dalla ex giunta Orsoni. «Sorvolando sul problema della qualità dell’acqua, ciò che oggi più importa è la qualità del nuovo paesaggio urbano che si sta delineando nell’area centrale di Mestre. L’acqua che scorre sotto il ponte della Campana (perché non è stato recuperato l’arco in mattoni del vecchio ponte, che pur si intravvede?) e lambisce via Poerio restituisce l’immagine della città che si era consolidata nei secoli risalendo fino al medioevo. Non è un caso che lì sia rimasto l’unico edificio medievale presente in Mestre: la sede della Scuola dei Battuti che oggi ospita l’Istituto di Cultura Laurentianum. Quell’edificio, la cui costruzione risale alla metà del trecento, con una singolare scala esterna coperta risalente alla seconda metà del quattrocento, è stato libero e ben visibile dalla piazza fino alla metà dell’ottocento quando il parroco diede il suo assenso alla costruzione di una casa sul terreno antistante», racconta Barizza. Nel 1927 la Banca cattolica di San Liberale (Treviso) acquista l’area e costruisce la sua sede. Seguirono polemiche a non finire con la Soprintendenza e il Comune ma il medievale Laurentianum da allora resta occultato.

Barizza ne ha ricostruito la storia dai documenti dell’Archivio Storico del Duomo di Mestre, che ha finito di riordinare in questi giorni e che saranno presentati il prossimo 30 gennaio alla città. La vicenda, ricorda, «si chiuse nel 1956 con l’elargizione di 500.000 lire al parroco, monsignor Aldo da Villa. Poi la beffa: nel piano di recupero del centro di Mestre del 1973 si stabiliva di acquistare l’edificio per demolirlo». Da 41 anni lo stabile del centro civico è sempre lì. Abbatterlo, ricorda Barizza, sarebbe stato uno «storico segnale: la città costruita disordinatamente in decenni di speculazione edilizia recuperava i segni della propria storia abbattendo qualcosa». Tema attualissimo anche oggi che parliamo di rigenerazione urbana del centro.

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