Legale pignora beni al Ministero

Azione di forza dell’avvocato delle famiglie dei cinque ragazzi morti in un incidente in Austria nel 1988
PORTOGRUARO. Secondo la legge Pinto, la ragionevole durata di un processo non può superare i sei anni per il giudizio definitivo. Qualora i tempi non vengano rispettati, la stessa legge prevede la possibilità di chiedere i danni al Ministero della Giustizia. Questo in linea teorica. Perché nel caso denunciato dall’avvocato veneziano Antonio Forza, è proprio il Ministero a non pagare quanto stabilito per un processo durato quasi 29 anni. E ora il legale è pronto all’azione di forza: «All’atto di precetto non è stata data risposta. Ora siamo costretti a procedere con il pignoramento, individuando beni del Ministero che ci possano soddisfare. Presenteremo ricorso anche alla Corte Europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo».


Per comprendere i contorni della vicenda serve fare un salto nel tempo. Era il 30 settembre 1988, le 4.35 del mattino, lungo l’autostrada Villach-Salzburg, in Austria. Sei giovani di Portogruaro diretti all’Oktoberfest di Monaco stavano dormendo nel camper preso in affitto. Il conducente (mai identificato) aveva parcheggiato sulla corsia di emergenza, all’altezza di un viadotto. L’arrivo da dietro a quasi 100 all’ora di un tir di proprietà della società di autotrasporti austriaca Frikus aveva fatto volare il camper nel greto del fiume. Morirono Mauro Galli, Alessandro Trevisan, Vincenzo Rubino, Stefano Ciuto, Katia Anese. Catia Bertolo si era salvata, riportando gravi lesioni. La causa civile per il risarcimento viene avviata nel marzo 1989 al tribunale di Udine, poi spostata a Treviso. Servono undici anni per il primo grado: nel 2000 il giudice accerta la responsabilità del camionista per l’80%, addebitando il restante 20% agli occupanti del camper. Ai familiari dei ragazzi morti e alla giovane sopravvissuta viene riconosciuto un risarcimento complessivo di due miliardi di lire, che viene liquidato.


Contro la sentenza, l’assicurazione del camper propone appello, e così fanno i familiari dei ragazzi per il riconoscimento della piena responsabilità del camionista. Passano altri sette anni e nel 2007 la Corte d’Appello di Venezia riforma parzialmente la sentenza riconoscendo alle vittime anche il 20% del danno disconosciuto in primo grado. Non è ancora finita, perché la società di trasporti Frikus e l’assicurazione del tir propongono ricorso per Cassazione. Il 22 agosto 2013 la Suprema Corte respinge i ricorsi: la sentenza diventa definitiva a 25 anni dall’incidente e a 24 dal via al processo.


I familiari dei ragazzi, con l’avvocato Forza, presentano ricorso contro il Ministero della Giustizia per violazione del termine di durata ragionevole del procedimento. Si esprime la Corte d’Appello di Trento che il 31 marzo 2014 condanna il Ministero a pagare 13.500 euro senza dilazione a ciascuno dei ricorrenti, per un totale di circa 200mila euro. È a questo punto che si innesta la seconda (e più assurda) odissea giudiziaria. Il Ministero non impugna il pronunciamento che diventa definitivo, ma non paga. I ricorrenti notificano a Roma i decreti con formula esecutiva e attendono i tempi concessi alle pubbliche amministrazioni debitrici per pagare. Il 1° gennaio 2016 la legge Pinto viene modificata con ulteriori aggravi di dichiarazioni a carico di chi attende l’indennizzo. Per il pagamento, la legge assegna al Ministero ulteriori sei mesi durante i quali sono bloccate eventuali azioni esecutive. I sei mesi sono scaduti ad aprile scorso e dei 200mila euro nemmeno l’ombra. «Mai una risposta da parte del Ministero, mai un atto formale, solo silenzio», chiarisce l’avvocato Forza, «Siamo dinnanzi a un comportamento inqualificabile del Ministero che ripaga le vittime del ritardo nell’accesso alla giustizia condannandole a rivivere altri ritardi. Non conveniva pagare subito ed evitare di dare ai cittadini questo ennesimo, beffardo e deprecabile esempio di cattiva amministrazione?».


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