Lega messa nei guai dal consulente veneziano Stefano Bonet

Perquisizioni e sequestri nell’abitazione del promoter finanziario titolare della “Polare scarl” di San Donà di Piave, con sedi anche a Spresiano e a Padova

VENEZIA. Stefano Bonet, il consulente finanziario della Lega, è finito nei guai per “l’affaire Tanzania”. Per i consigli dati al Carroccio che ha investito i soldi del partito, e quindi anche dei cittadini, nel paese africano. Ma sono stati proprio i consigli del consulente di San Donà di Piave e dei suoi collaboratori a trascinare nella bufera il partito di Umberto Bossi e in particolare il suo tesoriere Francesco Belsito.

Stefano Bonet e la sua “Po.la.re. scarl”, la società che opera nel campo delle innovazioni ma che in realtà si muove in quello degli investimenti finanziari, sono al centro di tre inchieste distinte di altrettante procure da Reggio Calabria a Napoli a Milano. E tutte e tre portano al Nord, alla Lombardia e al Veneto. Terra di Lega e terra dove si trovano anche i consulenti che spiegano ai vertici del partito di Bossi, come usare i fondi ottenuti anche dallo Stato per operazioni speculative e pericolose attraverso anche i canali utilizzati per riciclare denaro dalla ’ndrangheta. Intrecci dai quali si capisce che Bonet “paga” pure per poter promuovere e imporre le innovazioni tecniche in ambito pubblico. Complessivamente sono 22 gli indagati. Cinque i veneti.

Partendo da Milano la coppia “Bonet e Belsito”, sono indagati per truffa ai danni dello Stato, riciclaggio e appropriazione indebita nell’ambito dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo. Gli inquirenti ipotizzano che sarebbero stati «distratti soldi pubblici, per sostenere i costi della famiglia Bossi». Soldi che secondo l’accusa sarebbero stati ricavati attraverso i rimborsi elettorali e finiti in cene, alberghi e viaggi. Menti di come “stornare” i soldi sarebbero Stefano Bonet e il suo collaboratore Paolo Scala, accusati di appropriazione indebita aggravata. «Vi è la prova della falsità del rendiconto 2010 che ha portato a far ottenere circa 18 milioni di euro alla Lega Nord come rimborsi elettorali nell’agosto del 2011». Scrivono gli inquirenti milanesi. L’inchiesta di Milano è nata dall’esposto di un militante del Carroccio che riguardava l’utilizzo dei fondi del partito negli investimenti in Tanzania e a Cipro. Investimenti di un’operazione che potrebbe essere devastante per la Lega Nord. Investimenti che, secondo la procura di Reggio Calabria, ha seguito i canali utilizzati anche dalla ’ndrangheta per riciclare all’estero denaro sporco. Amicizie pericolose per la coppia “Bonet-Belsito” soprattutto con Paolo Scala, il promoter finanziario principale per gli affari di Bonet che viene consigliato pure a Belsito dall’imprenditore sandonatese. È un veneto che risiede a Cipro. È lui che manovra e fa arrivare in Tanzania i sei milioni provenienti da Belsito e che la procura di Reggio Calabria è convinta siano illeciti.

Transito che secondo la Dda potrebbe nascondere un’operazione di riciclaggio da parte della cosca dei De Stefano della ’ndrangheta. Questa inchiesta ruota attorno a Romolo Girardelli, un faccendiere genovese, legato, per la Dda, ad elementi dei De Stefano per i quali già in passato avrebbe svolto l'attività di riciclatore. Ora è socio di Belsito attraverso il figlio Alex Girardelli, nella “Effebi Immobiliare”, Girardelli è anche responsabile dello sportello genovese della “Polare Scarl” di Bonet. Ma quest’ultimo ha rapporti stretti anche con l’avvocato calabrese Bruno Mafrici. Attraverso una società di Scala transitano i soldi versati di Belsito.

Bonet, per la sua attività pagava Manfrici e alla sua segretaria che gli faceva notare che alcune voci di una parcella non sembravano congrue lui risponde: «Evidenzia che è un'operazione politica e bisogna pagare».

A Napoli invece l’indagine è una costola di quella relativa alla cosidetta P4 e che riguarda delle operazione finanziarie “spregiudicate” di Bonet e di Belsito con imprenditori locali.Non va dimenticato che Bonet era già finito nell’inchiesta Credieuronord e per il villaggio turistico in Croazia costato, alcuni anni fa, le condanne ad esponenti leghisti veneti.

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