Le novità al cinema di questo fine settimana

I film appena usciti e le recensioni dei nostri critici cinematografici Marco Contino e Michele Gottardi: in sala Blackhat, Suite Francese, Cenerentola e Foxcather
un'immagine da "Blackhat"
un'immagine da "Blackhat"

Un thriller protagonisti due hacker, una nuova Cenerentola, storie di famiglia e ossessione nelle recensioni di Michele Gottardi e Marco Contino sui film appena usciti nelle sale veneziane.

“BLACKHAT”
Due hacker contro, senza confini: eroi solitari in fuga da se stessi

Ritorna un maestro come Michael Mann e non delude i suoi fan: “Blackhat” è un’altra perla di una filmografia che ha poche cadute e molti imprescindibili, da “Heat” a “Collateral”, da “Manhunter” a “Nemico Pubblico”. In questi anni Mann ha riletto il poliziesco e la crime-story (cui ha dedicato, producendola, una fortunata serie televisiva) elevando il genere a introspezione psicologica, a specchio scuro di un vivere comune, in un ambiente metropolitano in cui i protagonisti vagano in senso esistenziale, anche se sanno quale obiettivo inseguire. La raffinatezza di scrittura e di movimento della macchina da presa di Mann, pur non raggiungendo i picchi della prima apparizione di Hannibal Lecter (“Manhunter - Frammenti di un omicidio) o del duo Al Pacino/Robert De Niro (“Heat-La sfida”), si conferma anche in “Blackhat”, soprannome dato a hacker particolarmente bravi e immorali. Contro questo intruso, che fa saltare una centrale nucleare in Cina e manda in tilt la borsa americana per alterare il prezzo della soia, si muove una squadra mista di agenti cinesi e dell’Fbi, allargata a un genio dell’informatica, in carcere per esser stato hacker a sua volta, anche se a un livello più basso: Nicholas Hathaway, già allievo modello all’MIT a fianco dell’agente cinese che ora lo rivuole con sé. L’inseguimento ai criminali informatici si sposta da Los Angeles a Hong Kong, risolvendosi a Giacarta: ma pian piano che il cerchio intorno al blackhat si stringe, e intorno la morte miete proseliti, Hathaway sposta la ricerca su un piano personale, ne fa una questione di sopravvivenza, e non solo perché, scoprendolo, riotterrebbe la libertà. I personaggi di Michael Mann sono mossi da una propria etica, che non necessariamente coincide con la morale condivisa, ma sicuramente è alta e forte. Il loro peregrinare nello spazio metropolitano, notturno, ricorda eroi solitari e anche Hathaway (Chris Hemsworth, una sorta di Brad Pitt più giovane e belloccio) affida alla malinconia della solitudine l’unica possibilità di sopravvivenza, dentro e fuori il carcere. L’uso degli spazi assume così – al pari della trama – il ruolo del pretesto: quali essi siano, noti o sconosciuti i primi, intricata o semplice la seconda, costituiscono un paradigma esistenziale all’interno del quale i protagonisti sono soli, distratti dal nulla come nella sequenza chiave sulla pista dell’aeroporto, all’inizio del film. Tutto il resto è parvenza, virus, virtualità, anche se perfetta, come l’immagine digitale del film. Durata: 135’ – Voto: ****

 

Foxcatcher
Foxcatcher

"FOXCATCHER”
Gli istinti liberati di Bennett Miller

Storia vera di ossessioni e desideri castrati che vede protagonisti John du Pont (Steve Carrell), erede di una ricchissima famiglia di industriali, e Mark Schultz (Channing Tatum), campione olimpico di lotta libera insieme al fratello Dave (Mark Ruffalo), ingaggiato dal miliardario per entrare a far parte del team “Foxcatcher”. Tra loro si instaura un rapporto ambiguo in cui il mecenatismo trascolora in desiderio di possesso, plagio e istinti omosessuali repressi, destinati a trovare in Dave, nel frattempo aggregatosi alla squadra, la vittima sacrificale di un legame morboso e malato. Dopo “L'arte di vincere”, Bennett Miller si affida nuovamente alla metafora sportiva per parlare di relazioni umane, anche se, nel suo nuovo film “Foxcatcher”, la riflessione antropologica non si snoda lungo la linea algoritmica e sabermetrica, costruita sulle percentuali del baseball, ma si immerge in una sorta di brodo primordiale rappresentato dai corpi avvinghiati dei lottatori che, avvolti in una divisa di carne e stoffa attillata, si annusano come primati, si toccano, si lasciano sopraffare dal più forte. Per du Pont è il contesto ideale per liberarsi dal giogo castrante di una madre austera e per celare, dietro il prestigio e il successo dell'impresa sportiva, un'ossessione di dominio sul corpo e sull'anima di un altro uomo, in un gioco di apparenze che crollano sotto il peso della gelosia e della frustrazione. Marco Contino Durata: 134’. Voto: ***

Suite francese
Suite francese

“SUITE FRANCESE”
L’amore (e il dolore) ai tempi del nazismo

Nella Francia occupata dai nazisti l’ebrea ucraina Irène Némirovsky affidò a una sorta di diario la storia di una popolazione sconfitta, prima di essere denunciata da un vicino e finire i suoi giorni ad Auschwitz. Custodito dalle figlie, “Suite francese” è uscito postumo pochi anni fa. Saul Dibb (“La duchessa”) lo trasporta sullo schermo integrando la cronaca dell’esodo dei parigini verso sud con l’arrivo dei tedeschi, che si piazzano nelle case degli abitanti dei villaggi. La storia tra una donna sola e un ufficiale tedesco non è cosa nuova, ma Dibb, pur in modo calligrafico e patinato, la ammanta di introspezione psicologica, sottolinea il travaglio della donna di fonte allo svolgersi degli eventi, in un crescendo drammatico, in una società classista in cui l’occupazione fa esplodere gelosie e conflitti sociali, attraverso vendette e delazioni. Con Michelle Williams, Alexandre Desplat e Kristin Scott Thomas (mi.go.). Durata: 107’ – Voto ** ½

Cenerentola
Cenerentola

“CENERENTOLA”
Com’è moderna la principessa di Branagh

Non era facile rivisitare la fiaba di Cenerentola e, allo stesso tempo, mantenerne inalterata la magia preservando un certo gusto per il classico e la tradizione. Ecco perché il film di Kenneth Branagh non è un banale adattamento, ma un’opera capace di rileggere il patrimonio iconico “cinderelliano” sotto una luce contemporanea, visionaria e ironica, con un messaggio finale dirompente nella sua semplicità: “Sii gentile e abbi coraggio”. E sono proprio la gentilezza e la forza di volontà i “superpoteri” di Ella (Lily James), ragazza dall’infanzia felice, costretta a vivere, disprezzata, con l’affascinante matrigna (Cate Blanchett) e due sorellastre più sguaiate che brutte. Non mancano, ovviamente, la fata madrina (Helena Bonham Carter), il ballo e la scarpetta di cristallo. Ma Ella/Cenerentola, se fisicamente ricalca il prototipo fiabesco di principessa, caratterialmente è una donna moderna: consapevole, determinata, indipendente come le ultime eroine Disney (da Merida ad Anna ed Elsa di “Frozen”). Persino il principe azzurro non è più un bambolotto per cui sdilinquirsi, ma ha una concretezza e uno spessore inediti. Scenografie sontuose di Dante Ferretti e qualche sequenza davvero suggestiva (l’arrivo della fata con la trasformazione della zucca in carrozza). (m.c.) Durata: 105’. Voto: **½

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