L’apertura del teatro il segno che Mestre cambiava pelle

Domenico e Marco Toniolo realizzarono l’opera, al culmine di una stagione di crescita economica e urbana della città
Di Sergio Barizza
Festeggiamenti per il centenario del teatro Toniolo, Mestre
Festeggiamenti per il centenario del teatro Toniolo, Mestre

di SERGIO BARIZZA

«Domenico e Marco Toniolo seppero trasformare la vecchia Mestre, torpida e stanca sotto il peso delle sue memorie, in una cittadina ridente di belle case e di ville sontuose e hanno saputo dotarla anche di un teatro elegante», così si poteva leggere nella cronaca di Mestre de 'la Gazzetta di Venezia' del 31 agosto 1913.

Il giorno prima, presenti 1200 spettatori, era stato inaugurato il teatro Toniolo (nelle intenzioni avrebbe dovuto essere intitolato alla regina Elena ma i proprietari/costruttori avevano invece orgogliosamente deciso che portasse il nome della loro famiglia) con il Rigoletto di Giuseppe Verdi, sotto la direzione del giovane maestro Antonio Gallo, con una compagnia di canto internazionale, l'impresa di Alessandro Tretti, il coro della Società Corale Mestrina.

Furono programmate ben dieci repliche (alla quarta la gran ressa costrinse l'impresario a lanciare il classico'grido: "Chi no ga palchi e scagni torni indrio"), previste corse speciali di ritorno per gli spettatori, attorno alla mezzanotte, con il tram verso Mirano, Treviso e la riviera del Brenta fino a Dolo.

Fu una sorta di autocelebrazione per Mestre.

Al culmine di un periodo di espansione economica, urbana e demografica i Toniolo si erano fatti carico di perpetuarla mettendone quasi un sigillo - affidandosi alla sapiente mano dell'ingegnere Giorgio Francesconi - con la costruzione dei due palazzi, con ampi ed eleganti negozi al piano terreno, che sorreggevano una galleria in ferro e vetri (che si richiamava a quelle erette in centri ben più importanti quali Milano e Napoli) la quale immetteva nella corte del “loro'”teatro, destinato a sostituire l'ormai decrepito Garibaldi, in piazza Umberto I.

In quell'occasione, per favorire il deflusso verso Via Rosa, era stato pure coperto, per un centinaio di metri, un tratto del ramo delle Muneghe del fiume Marzenego.A sottolineare la versatile modernità della nuova sala, il successivo 20 settembre, vi sarebbe stato proiettato il primo film: '”Quo Vadis?”.

L'approccio delle famiglie di Mestre e dintorni a un'opera verdiana in un vero teatro e alla visione di quel concentrato di modernità ch'era il cinematografo, avveniva nel contesto di piazza Maggiore (intitolata nel 1900 a Umberto I), lo spazio attorno al quale, da secoli, ruotava la vita economica cittadina.

Era il segno di un salto di qualità, di un divenire città.

In effetti il duo Toniolo/Francesconi aveva preso l'iniziativa di rendere consono ai canoni urbanistici delle città dell'epoca il lato meridionale della piazza (che si sarebbe completato con la costruzione del palazzo d'angolo tra via Rosa e via Verdi nel 1920) anche perché era in precedenza fallito il tentativo di costruzione di un nuovo teatro da parte di una costituenda società che aveva tentato di raggruppare il fior fiore della nascente borghesia mestrina: Traldi, Vivit, Cecchini, Da Re, Pallotti…

Il nuovo teatro diveniva così il simbolo di un mutamento di pelle di Mestre, com'era del resto stato con i due teatri precedenti.

Il primo, costruito in aderenza alla testata del Canal Salso (dove oggi si apre la Galleria del Teatro Vecchio accanto all'hotel Venezia), era stato progettato nel 1778 da Bernardino Maccaruzzi (architetto allievo del Massari, progettista pure del duomo di San Lorenzo) per i suoi proprietari, i patrizi veneziani Filippo e Alvise Balbi.

Era a Mestre ma non per Mestre: era infatti frequentato dai patrizi/nobili veneziani che venivano intercettati per una salutare sosta, nel momento del cambio di mezzo di trasporto tra gondola e carrozza, durante il percorso verso le vicine, numerose, ville della terraferma veneziana e trevigiana.

Caduta la Repubblica, dileguati nobili e patrizi, il teatro rimase desolantemente vuoto finché il proprietario, Almerigo Balbi - stanco di pagare le tasse per un bene che non gli rendeva nulla - non ottenne, nel 1811, dal Comune di Mestre il permesso di abbatterlo, salvo l'atrio da adibire ad abitazioni.

Nel 1840, per opera di Moisè d'Angeli, venne aperto un “Teatro Nuovo” nel palazzetto neogotico a due passi dall'attuale cinema Excelsior, che disponeva pure di una corte interna per spettacoli all'aperto.

Se il Balbi aveva attirato perfino l'attenzione di Goldoni (che, sul finire del settecento, aveva parlato di Mestre come di "una piccola Versailles") questo era invece semplicemente un luogo per far passare qualche ora di svago con spettacoli di burattini, giochi di prestigio e piccole commedie dialettali, agli abitanti di un piccolo paese.

Fu pomposamente intitolato a Giuseppe Garibaldi, nel 1866, dopo l'annessione di Mestre al regno d'Italia ma rimase sempre un piccolo teatro di paese finché, all'inizio del novecento, non venne addirittura chiuso per la mancanza delle più elementari regole di sicurezza.

Ecco perché, dopo il teatro per i veneziani e quello per i paesani, il Toniolo, con la galleria e i palazzi vicini, è visto, e vissuto, come il simbolo di una nuova città che cresce e si afferma, a ridosso di Venezia, e diviene stabilmente punto di attrazione per i numerosi centri vicini.

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