La tratta delle baby prostitute in schiavitù a Mestre. Spunta il catalogo via Whatsapp e Skype

I risvolti dell’inchiesta della Squadra mobile sui reclutatori nigeriani che ha portato a due arresti e 15 indagati 

Lo sfruttamento

Il catalogo con le immagini delle ragazzine correva veloce da una parte all’altra dei continenti grazie a Whatsapp e a Skype. I reclutatori in Nigeria mostravano le foto delle ragazze trovate a chi, tra i complici, poi le doveva sfruttare sulle nostre strade del sesso e in altri Paesi europei.

Le foto servivano a mostrare agli altri componenti dell’organizzazione quanto era stato trovato in base alla richiesta inviata da Mestre, Padova o Verona. L’inchiesta della Squadra Mobile di Venezia, coordinata dalla Procura Antimafia lagunare che ha portato in carcere due nigeriane e indagato altre 15 persone, per traffico di esseri umani e sfruttamento della prostituzione, offre uno spaccato di come siano organizzati i nuovi schiavisti che usano le rotte dei migranti per trasportare in Europa persone da sfruttare. Senza nessuno scrupolo, con l’unico obiettivo di fare soldi.

Le foto erano fondamentali per stabilire se valeva la pena investire sul viaggio della ragazza che i reclutatori avevano trovato. Da Mestre partiva la richiesta spiegando età e caratteristiche fisiche. Le maggiori richieste erano per minorenni, anche di 12 anni; fisicamente si preferivano seni e fondoschiena pronunciati. Queste erano le richieste, poi arrivavano le foto delle ragazze trovate dal reclutatore. A volte veniva bloccato il viaggio.

Una volta arrivate in Italia le ragazze transitavano attraverso il percorso del sistema che porta il migrante a richiedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Qui entrava in scena un appartenente del gruppo criminale che conosce le caratteristiche che devono avere i racconti delle richiedenti per essere credibili davanti alla commissione che deve valutare la pratica. Anche lui nigeriano, risiedeva a Padova.

Per due, tre giorni lo “sceneggiatore” si prendeva in carico la ragazza e dopo aver chiesto la regione e la città di provenienza, scriveva una storia adeguandola alla ragazza. Sempre storie di violenza, patimenti, sfruttamenti e genitori o parenti massacrati da gruppi etnici rivali. Tutto inventato. Quindi addestrava la ragazza perché imparasse a memoria il racconto.

Anche perché per molte di queste giovani la realtà in Nigeria era ben diversa e, pur non appartenendo a famiglie ricche, di certo non erano vittime di violenze politiche o discriminazioni etniche, tra i motivi riconosciuti per avere il permesso.

Iniziava poi l’introduzione al “lavoro”. In questo momento la ragazza si rendeva conto del motivo vero per il quale era stata mandata in Italia. Altro che promesse di lavori nei centri commerciali, come parrucchiera o cameriera o altre attività legali. Capiva che la sua vita sarebbe stata su un marciapiede a prostituirsi. Entrava in scena la mamam che le insegnava cosa doveva fare e quello che non doveva fare con i clienti.

Se la ragazzina era recalcitrante passava alle maniere forti per convincerla. Prima usava riti voodoo con animali morti, polveri magiche, semi di sesamo, sangue ed erbe. A questi venivano aggiunte le minacce riguardanti i famigliari rimasti in Nigeria. Se le ragazze non volevano piegarsi alla volontà degli sfruttatori questi dicevano che si sarebbero vendicati con i parenti delle giovani rimasti nel paese di origine.

A quel punto la ragazza cedeva. Il luogo dove prostituirsi lo decidevano quelli dell’organizzazione e una volta assegnato, lei non lo poteva cambiare. Per quel posto pagava all’organizzazione 200 euro la settimana.

Altrettanti soldi versava per vitto e alloggio, ma questa volta al mese. C’erano poi da restituire i soldi che gli schiavisti avevano speso per farle arrivare in Italia. O meglio che loro dicevano di aver speso per il viaggio. Questi variavano dai 25 ai 30mila euro. Non basta una vita per pagare il debito anche se le ragazzine più piccole, in un giorno, guadagnavano anche 300 euro. L’orario era dalle 22 all’alba. Anche per le minorenni.

Se una ragazza veniva fermata dalla polizia l’indomani l’organizzazione la portava da un’altra parte. —


 

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