La sfida di Vania e Tatiana, infermiere di quartiere per l’assistenza di prossimità

L’avventura professionale di due amiche che hanno deciso di lasciare un posto nel settore pubblico. «Altre regioni sono più avanti di noi su queste forme»

MESTRE. «La figura dell’infermiere di famiglia, previsto dal decreto Salute, è già attiva in Piemonte e Lombardia. Da noi in Veneto non è stato ancora attivato. Ma potrebbe diventare il vero tramite tra medici di famiglia e cittadini».

Ne è convinta Vania Ducceschi, infermiera professionale veneziana. Due anni e mezzo fa, assieme alla collega Tatiana Dabalà, ha lasciato il lavoro sicuro presso l’ospedale dell’Angelo per proporsi come libere professioniste con partita Iva. Ora stanno eseguendo tamponi rapidi, assieme ad altri colleghi, nelle provincia di Venezia ma anche nel Padovano. Ieri Vania era al lavoro dentro la Fincantieri, oggi si sposterà in una azienda agricola.

«Abbiamo lasciato l’ospedale dell’Angelo per metterci in proprio. Tatiana lavorava in sala operatoria e nelle emergenze. Io vengo dalle cure palliative e dalla assistenza domiciliare», spiega Ducceschi.

«Assieme ad altri colleghi e anche a medici che hanno scelto la libera professione, abbiamo stretto una collaborazione con la azienda Coiros. Loro producono e ci forniscono i tamponi rapidi e noi andiamo ad eseguire i test in aziende che ci vengono assegnate ma anche presso i privati che ci richiedono questo servizio. Ci sono varie persone che telefonano: la nonna che teme di aver avuto contatti con un caso sospetto ma a cui il medico di base non prescrive il test e pur di rivedere i nipoti paga il tampone di tasca sua. Ci sono anche persone che preferiscono un test a domicilio piuttosto di doversi muovere per andare presso i servizi sanitari, riducendo così i rischi di contagio», racconta.

Il tampone rapido eseguito a domicilio con questo servizio costa 50 euro e consente di avere il risultato in tempo veloce. «Per aver la certificazione del risultato ci vuole più tempo ma l’esito del test è praticamente immediato», spiega l’infermiera. Di infermieri di famiglia o di quartiere si parla anche in Veneto. Ma pochi sono gli esempi, salvo esperienze di chi si fa la partita Iva preferendo rischiare in proprio.

«Noi abbiamo approfittato della collaborazione con la azienda Coiros, che ci fornisce i tamponi per i test, per inserirci in questo settore ma riteniamo che la figura dell’infermiere di quartiere sia necessario. Con la preoccupazione con cui la gente vive questa pandemia e anche con i problemi che si hanno nell’avere oggi contatti con i medici di famiglia, un infermiere che arriva a domicilio diventa quell’occhio che al medico di base manca: si esce dall’ambulatorio, si vede quali sono i problemi della persona, si segnala la situazione al medico, si concorda cosa fare e si può far avere velocemente la prescrizione. Sarebbe un vero aiuto a tante famiglie». —

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